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mercoledì 7 novembre 2007

"IN QUESTO MONDO LIBERO" di Ken Loach, 2007

Negli ultimi anni ci eravamo un po’ stufati dei film di Ken Loach, il regista “compagno” autore di film di denuncia sociale. Ci eravamo stufati perché non ci è mai interessato andare al cinema per trovare conforto alle nostre sofferenze, per scoprire che c’è ancora qualcuno che parla di quello che non funziona nella società occidentale, per identificarci con l’operaio o l’alcolizzato di turno. Non ci è mai interessato andare al cinema per riconoscerci sfruttati, ma consolati dal fatto che qualcuno lo racconta, e poi tornare al lavoro (quando lo si ha) aspettando il prossimo film-programma tv-romanzo-partito – di sinistra – a cui delegare le nostre frustrazioni.
Sotto questo punto di vista gli ultimi due film di Ken Loach, invece, ci hanno piacevolmente sorpreso.
In Il vento che accarezza l’erba e In questo mondo libero l'autore fa propria la frase, per dirla alla Godard, di Ici et ailleurs: “Troppo facile e troppo semplice dire che i ricchi hanno torto e i poveri ragione”.
E così se in In questo mondo libero la protagonista è ancora e sempre un personaggio alla Ken Loach (stavolta una ragazza sui 30 anni, figlia di operai, separata e con figlio a carico, disoccupata e in cerca di riscatto), ciò che nel film emerge non è la semplice denuncia dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo, quanto lo svelarsi dei meccanismi dentri ai quali si resta imprigionati nel momento in cui il legittimo desiderio di vivere una vita dignitosa si esprime attraverso la ricerca dell’affermazione individuale. Il finale amaro sgombra il campo dalla pia illusione che sia sufficiente una qualsiasi riforma del welfare per risolvere almeno in parte i problemi del lavoro e della società in generale; soprattutto dall’illusione di essere migliori di chi ci sfrutta solo perché siamo sfruttati.
Siamo ancora e sempre lontani dalla bellezza stilistica di un film come Kes (l'opera prima di Ken Loach, tuttora insuperata) ma non si può non riconoscere al regista inglese di essersi finalmente allontanato dai propri clichè più stucchevoli, e di avere maturato una visione della società contemporanea più disincantata, e appunto per questo meno conciliante. Non in linea perciò con quanto oggi viene definito "di sinistra".


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