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mercoledì 31 dicembre 2008

Foto da "ELEPHANT" di Gus Van Sant, 2003








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Foto da "MANI IN ALTO" di Jerzy Skolimowski, 1967








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sabato 27 dicembre 2008

"CONTROL" di Anton Corbijn, 2007

Vita e morte di Ian Curtis, cantante e leader dei Joy Division. In poche parole, nulla più che il classico bio-pic ad uso e consumo dei fans. In particolare, il regista sceglie di concentrarsi sugli aspetti privati e sentimentali del protagonista, piuttosto che sull'innovativo discorso musicale della band, cosicchè quasi tutto si risolve su un piano prettamente esistenziale. Le esibizioni live, accuratamente ricostruite, non oltrepassano il livello della semplice imitazione, il più possibile fedele, ma pur sempre imitazione, prive cioè dell'intensità emotiva delle originali. Le movenze da marionetta di Ian Curtis diventano così un semplice "stile" per tenere il palco, malato e sofferto quanto si vuole ma mai shockante e rabbioso svelamento di una condizione di estrema fragilità fisica e psichica. Infine, la fotografia in bianco e nero appare qui la scelta più scontata, dal momento che non toglie nè aggiunge nulla a una storia che già di per se è fredda, triste e cupa.


Control - Transmission



She's lost control - Joy Division

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martedì 23 dicembre 2008

2 trailer di "WATCHMEN"



Watchmen dovrebbe uscire al cinema il 6 marzo 2009. Per chi ancora non lo sapesse, Watchmen è certamente uno dei migliori e più importanti romanzi a fumetti mai pubblicati. Per molti appassionati, Watchmen è il graphic novel per eccellenza. Del film da esso tratto, ne riparleremo senz'altro a suo tempo. Per il momento, qui ci limitiamo a pubblicare i due trailer ufficiali, già doppiati in italiano. Un terzo, più breve degli altri due ma con qualche nuova immagine, è da pochi giorni disponibile sul web.


Watchmen
trailer 1



Watchmen trailer 2

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domenica 30 novembre 2008

Foto da "FEMMINA FOLLE" di John M. Stahl, 1946





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giovedì 20 novembre 2008

"CHANGELING" di Clint Eastwood, 2008

Bel film, e non è poco, perchè da Eastwood ci si aspetta sempre tantissimo. Bella la storia, bella la fotografia, bravi gli attori (John Malkovich e Jason Butler Harner su tutti), perfetta la regia. Non un capolavoro, però. Anche perchè non è possibile realizzare sempre e solo capolavori (per quanto discutibile possa essere il termine "capolavoro"). In Changeling non tutto funziona alla perfezione. E secondo noi quello che non sempre funziona nel film è la protagonista, Angelina Jolie.

Vediamo e intuiamo dal primo momento in cui viene inquadrata che per lei questo è il ruolo della vita; capiamo anche subito che l'impegno e il lavoro sul personaggio non mancano. Nei suoi gesti nessun ammiccamento erotico, nella vicenda nessuna digressione sentimentale, nel personaggio nessun desiderio oltre a quello di ritrovare il figlio perduto. Un ruolo costruito su misura per una grande attrice, come si faceva una volta per Ingrid Bergman, Bette Davis o Anna Magnani, e un personaggio da Oscar. Ecco, il limite di Changeling forse sta proprio in questo. Nulla di male, ovviamente, a volere vincere dei premi. Solo che in questo caso il tutto pare un pò troppo progettato a tavolino, un pò macchinoso. Sono talmente tante le inquadrature e i primi piani su Angelina Jolie che viene spontaneo pensare che in Eastwood ci sia innanzitutto la volontà di farci vedere quanto sia brava e intensa come attrice la moglie di Brad Pitt. Brava, appunto, ma non straordinaria, detto con tutto il rispetto che nutriamo per l'ex eroina di Tomb Raider. Di questo eccesso il film, a nostro parere, un pò ne risente. Perchè per il resto, siamo sugli standard qualitativi a cui Clint Eastwood ci ha ormai abituati da almeno 15 anni, ovvero dal magnifico Unforgiven, che (allora sì, sorprendentemente) nel 1992 si aggiudicò ben 4 Academy awards.

A parte questa "debolezza" Changeling è ovviamente un film da vedere, dal momento che lo sguardo sull'America del repubblicano Eastwood resta uno dei più lucidi, spietati e affascinanti in assoluto, indipendentemente dagli obiettivi che il film si pone e dai contenuti che emergono. Intanto stiamo già aspettando che sia distribuito in Italia il secondo lungometraggio del 2008 dell'instancabile Clint (già al lavoro, fra l'altro, su The Human Factor, con Morgan Freeman nel ruolo di Nelson Mandela), ovvero Gran Torino, che è il modello di una amatissima Ford degli anni 70 (quella usata per esempio da Starsky e Hutch) , ma che è la storia di un uomo bianco americano, veterano della guerra di Corea, razzista, interpretato - finalmente, dopo 3 film solo come regista - dallo stesso Eastwood.

trailer di Changeling



trailer di Gran Torino

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sabato 25 ottobre 2008

I titoli di testa di "MAD MEN"



I migliori titoli di testa mai realizzati per una serie tv. In poco più di 30 secondi vengono condensati il tema portante, lo stile, l'ambientazione, il periodo storico, la psicologia del protagonista. Decisiva anche la scelta dello straniante brano musicale.



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giovedì 16 ottobre 2008

"THE HURT LOCKER" di Kathryn Bigelow, 2008

Non ha l'impatto, lo stile, la profondità di Redacted di Brian De Palma, ma The Hurt Locker di Kathryn Bigelow è un film che consigliamo comunque di andare a vedere.

La regista statunitense, nota per la "velocità" e il "ritmo" dei suoi titoli più celebri (Point Break, Strange Days), nel suo film sull'Irak "rallenta" i tempi e si fa più riflessiva, lasciandoci finalmente la possibilità di "guardare" (nel)le inquadrature.
E qui si nota subito la differenza, per esempio, con un Clint Eastwood (Letters from Iwo Jima) o un De Palma: se questi ultimi ormai curano la messa in scena con la consapevolezza e la sicurezza
del "maestro" riconosciuto, la Bigelow al contrario, a volte, ci appare incerta, quasi un'esordiente. Come se in questo film, avendo scelto di lavorare per sottrazione (di eventi) per puntare sull'intensità, sull'essenza, alla fine emergessero quelle lacune e debolezze che in passato la regista riusciva a nascondere con montaggi vertiginosi e travolgenti scene d'azione. Per esempio, ogni volta che gli irakeni vengono inquadrati mentre dalle loro case osservano i soldati americani in azione, quegli sguardi sì ci inquietano, ma contemporaneamente abbiamo la sensazione che le inquadrature indugino troppo su di essi, rischiando così di produrre l'effetto didascalia. E' però proprio anche per alcuni di questi difetti che The Hurt Locker ci pare, finalmente, un film "personale", azzardato e positivo nel suo interrogarsi sulla guerra e i suoi effetti. La Bigelow in sostanza "rischia", a costo anche di risultare imperfetta, dirigendo però un film a suo modo coinvolgente e riuscito.
Qualcuno, nelle recensioni più superficiali, ha parlato di The Hurt Locker come di un film pro-Bush. Secondo noi The Hurt Locker è niente altro che un film sugli americani in guerra. Che ci piacciano o meno, in questo caso, non fa differenza. Ciò che conta, una volta tanto, sono le immagini, la storia raccontata e i suoi personaggi (bravissimo nella sua parte Jeremy Renner); niente divisioni manichee, messaggi morali o buoni sentimenti, ma solo un gruppo di uomini da una parte, il nemico dall'altra e in mezzo la guerra.
Un film dunque che rimanda al cinema nella sua dimensione più genuinamente popolare, ovvero quello che semplicemente mostrava su un grande schermo ciò che le persone curiose desideravano poter vedere coi loro occhi. Per poi - spesso - riflettere, ragionare, pensare.


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mercoledì 18 giugno 2008

SI E' SPENTA UNA STELLA

quando il cinema faceva sognare...


A 87 anni si è spenta a Los Angeles Cyd Charisse. Eccellente ballerina, la ricordiamo in film memorabili come Cantando sotto la pioggia, Spettacolo di varietà, Il dominatore di Chicago, Due settimane in un'altra città.


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domenica 25 maggio 2008

"GOMORRA" di Matteo Garrone, 2008

Non bisogna farsi trarre in inganno. Gomorra sembra un bel film, ma è solo un lavoro ben fatto.
Garrone, che molti anni fa vinse un premio al festival cinema giovani di Torino, non è cambiato molto. Lo stile resta quello del suo primo lungometraggio; allora fece notizia il fatto che un giovane regista si occupasse di temi sociali, oggi fa notizia perchè il suo film è tratto da un bestseller.
Gomorra si lascia guardare: in alcuni momenti funziona, in altri meno, ma le 2 ore e mezzo scorrono.
Tuttavia, da qui a parlare - come ovviamente molti fanno - di "maestro" del cinema ne passa. Con tutto il rispetto, Rossellini, Antonioni e Fellini erano di altro spessore. Non è però un problema di classifiche e graduatorie. E'
piuttosto un problema di intensità: il difetto dei nuovi registi italiani è che
sembra vivan
o una realtà un pò troppo filtrata. A Napoli
Gomorra (film) non sconvolgerà nessuno, anche se se ne parlerà
in tv, fra studenti universitari, o in qualche ristorante etnico alternativo.
Perchè se davvero si ha voglia di scavare, indagare, smuovere, RISCHIARE, occorre per prima cosa mettersi a nudo di fronte al pubblico, fare in modo cioè che il pubblico si fidi di te. Diversamente, restano il mestiere e un pò di talento. Ciò che differenzia Gomorra da Primo amore (film di Garrone del 2004) è perciò il soggetto. Un soggetto forte, attuale, durissimo.
Da questo punto di vista meglio allora cercare in qualche negozio di dvd ben fornito il documentario Biutiful cauntri, che tratta il problema dei rifiuti in Campania. A differenza di Gomorra però, sporcandosi un pò di più le mani.


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martedì 1 gennaio 2008

"1977. IMMAGINI PER UN DIARIO RITROVATO" di Benini, Lo Sardo, Malfatto


SENZA ARTE NE' PARTE
Miseria di un documentario tv

Per il ciclo La grande storia è andato in onda ieri sera (30 dicembre 2007) su raitre un documentario intitolato 1977. Immagini per un diario ritrovato. Gli autori accreditati sono ben tre: Roberto Benini, Francesco Lo Sardo e Roberto Malfatto. Quest'ultimo in un'intervista ha dichiarato:

Volevamo restituire un clima, far vivere quelle emozioni anche a chi all’epoca non c’era ed è stato possibile grazie al materiale di privati, oltre a quello delle Teche Rai, che siamo riusciti a ritrovare. Non volevamo fare un film ‘politico’, esprimere giudizi anche se molte immagini sono abbastanza eloquenti perché il pubblico, un’idea, possa farsela da solo. Non è un film solo sul movimento ma in generale su un periodo che a nostro parere ha segnato la storia molto più del ‘68.

Ebbene, l'obiettivo che i tre si erano posti è stato certamente mancato.
E' sempre alquanto fastidioso scoprire che persone che hanno vissuto quell'anno così particolare siano capaci di ridurre un'esperienza collettiva di enorme rilevanza e significato storico come quella del movimento del 77 in pochi e scontati luoghi comuni. In questo caso specifico, la complessità e il peso di quell'esperienza non si riesce più a porre in relazione con la realtà vissuta in quanto la prima è costretta nella carreggiata di una sorta di autostrada della visione in cui ogni asperità viene accuratamente appianata dal rullo compressore dell'ideologia buonista di cui i tre autori sono portatori consapevoli. Ecco allora come comunisti, fascisti, politici, giornalisti, studenti, femministe, poliziotti e carabinieri finiscono uniti "tutti insieme appassionatamente" in uno spettacolo di amore e morte che ha da comunicare un solo inutile messaggio: "Anche noi [i "registi"] c'eravamo". Dove e come non ci è dato saperlo.
Se poi si scende su un piano tecnico-estetico la situazione, se possibile, peggiora. Il film non è altro che una confusa accozzaglia di immagini d'epoca (tra l'altro per il 90% viste e riviste) sostenute da un'interminabile e ridondante susseguirsi di celeberrime canzoni rock, e commentate da un testo scritto ad hoc, per giunta "recitato" da un'attrice da filodrammatica con tanto di leggio d'ordinanza, e che senza alcun rispetto per l'intelligenza dello spettatore, viene pure inquadrata mentre esegue i "pezzi di bravura".
Nel film è totalmente assente una qualunque idea portante degna di essere chiamata tale, così come sono assenti senso della durata dell'inquadratura, del ritmo, dell'intensità, ipotesi di montaggio ecc. In breve, è assente un benchè minimo straccio di stile. Uno dei vertici di tanta miseria ce lo forniscono le immagini del funerale di Giorgiana Masi, quando durante il corteo funebre un sapiente rallenti (o una zoomata, non ricordiamo più con precisione) indugia su uno dei giovani che porta la bara, che altri non è che il famoso Francesco Rutelli... E che dire poi dell'epilogo, in cui una selezione delle immagini appena mostrate vengono rimontate (si fa per dire) sulle note di Like a rolling stone (anch'essa, senza pietà, malamente tranciata a metà per farci riascoltare il ritornello)?
Il film si conclude con una frase, falsa, ottusa e paradossale come tutto il documentario: "Di tutto ciò che ha caratterizzato quest’anno, resterà solo il ricordo della violenza".
Falsa perchè per sfortuna degli autori ci sono ancora molte persone che di quell'anno, oltre a ricordare tante altre cose, sono capaci di rivendicarne tutta la ricchezza e le contraddizioni (e non solo la parte commestibile, quella buona per la tv); ottusa perchè vorrebbe farci credere che scivolare sulla superficie degli eventi equivalga a parteciparvi (e allora puntuale il rammarico che la Storia non riesca a piegarsi al bisogno di una storia a proprio uso e consumo) ; paradossale perchè il documentario è costruito su immagini di scontri, morti e funerali, e dunque legittimamente ci chiediamo cosa può avere impedito agli autori di mostrare in alternativa alla violenza 50 minuti di indiani metropolitani, sedute di autocoscienza, assemblee, radio libere ecc.

Non ci resta a questo punto altro da fare che suggerire a chi fosse interessato ai temi che il documentario di raitre avrebbe voluto affrontare di recuperare, per cominciare, alcuni film di Alberto Grifi (Parco Lambro, Anna, Lia, Michele alla ricerca della felicità), e in qualche modo di contribuire affinchè il "diario ritrovato" di Benini, Lo Sardo e Malfatto venga nuovamente perduto. E sperare che a qualche insegnante illuminato non venga mai in mente di mostrarlo ai suoi allievi per spiegare gli anni settanta in Italia.


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