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sabato 4 febbraio 2012

Addio a Ben Gazzara

Goodbye, Cosmo!

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lunedì 28 novembre 2011

29° Torino Film Festival #1 - LE VENDEUR di Sébastiene Pilote, 2011

Domenica 27 novembre: LE VENDEUR di Sébastiene Pilote, Canada, 2011, colori, 107' - Concorso Lungometraggi

"Vendo auto, tutto qui". E' la frase che riassume un'intera esistenza, quella di Michel (magnificamente interpretato da Gilbert Sicotte), 67 anni, da oltre venti vincitore del premio come migliore venditore della concessionaria in cui lavora.
Il film è ambientato in inverno, in una cittadina del Québec. Michel vive solo, ma ha una figlia e un nipote, che rappresentano l'unico suo legame esterno al mondo lavorativo. Tutto pare filare liscio, come sempre. In realtà, la città sta vivendo una profonda crisi economica. La fabbrica PB è infatti chiusa da 250 giorni, e i 500 operai che vi lavorano vedono, ogni giorno che passa, concretizzarsi la perdita definitiva del posto di lavoro. Inevitabilmente, anche alla concessionaria si presentano sempre meno clienti. In questo clima di depressione, Michel è l'unico che riesce però ancora a vendere. Un'auto nuova a un operaio disoccupato. E quando Michel passa il tempo con la figlia e il nipote, il suo pensiero resta comunque rivolto al lavoro. Chiunque può diventare un cliente. Vendere auto è per Michel non solo il rimedio alla sua evidente solitudine; vendere auto è l'essenza del suo essere e della sua vita. A Michel può essere portato via tutto, fuorchè il suo lavoro. E questa è la vera tragedia del film.
La regia, molto curata, forse solo un pò prevedibile, è perfettamente funzionale al racconto. I momenti più riusciti sono rappresentati dalle sequenze in cui la routine quotidiana subisce delle variazioni e le ellissi narrative vengono spezzate. Sono i momenti in cui la storia si dispiega verso possibili altri percorsi, per quanto minimali, per poi tornare al consueto. Bellissima e toccante per esempio la scena della festa organizzata dal parroco, in cui l'orchestrina locale esegue Romance in Durango, che il regista decide di farci ascoltare e vedere nella sua intera durata: il Canada, la neve, gli operai disoccupati, i balli, Michel e la figlia, le risate, il cibo offerto, la chiesa, la comunità, e una canzone di Bob Dylan che parla di sole, passioni infuocate, amore e morte. Questo sapiente contrasto restituisce, come solo il cinema riesce a fare, la ricchezza di significati che la superficie delle immagini pare nascondere.
Timidi e tiepidi applausi alla fine della proiezione. Peccato, perchè per quanto auspicabile non pensiamo sarà facile riuscire a vedere in concorso film altrettanto validi di Le vendeur.

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mercoledì 24 agosto 2011

UN GELIDO INVERNO di Debra Granik, 2010


Un film veramente bello. Notevoli tutte le attrici e tutti gli attori, sicuramente anche per merito della regista Debra Granik. In particolare spiccano la protagonista Ree, interpretata da Jennifer Lawrence, e John Hawkes, nel ruolo di Teardrop, lo zio di Ree, una via di mezzo tra il Dennis Hopper di Rumble Fish e l'Harry Dean Stanton di Paris, Texas. Ambientato in una poverissima provincia del Missouri, il fim - costruito sulla ricerca del padre da parte di Jennifer - impressiona per la capacità di evocare, senza mai mostrarla veramente, una violenza primordiale, brutale ed estrema, che pare essere l'unica ancora di sopravvivenza dei "miserabili" personaggi che via via Ree incontra sulla sua strada. Un'inquietudine che ricorda quella provocata, sebbene poi declinata su altri registri, dalla visione del primo Texas Chainsaw Massacre. Bella anche la colonna sonora, in particolare la scena del compleanno, in cui un'improvvisata band suona un paio di intensi brani country. Dispiace solo averlo visto doppiato. In lingua originale certamente il film rende ancora di più.



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venerdì 19 agosto 2011

OVERNIGHT di Chris Marker, 2011

A una settimana dai riots londinesi, il novantenne Chris Marker realizza un video di poco meno di 3 minuti utilizzando alcune foto tratte dal Times. Il brano musicale che accompagna le immagini sembra essere una canzone già utilizzata ne I 400 colpi di Truffaut.


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mercoledì 18 maggio 2011

Su Lars Von Trier



Ci sono molti modi per vedere un film. Con gli occhi, con la testa, con il cuore. Alcuni, sono come un colpo di fulmine, altri ti prendono allo stomaco. Altri ancora, a naso, lasciano dei dubbi. Dei film di Lars Von Trier, per esempio, non ci siamo mai veramente fidati. Personalmente, vidi Europa alla sua uscita, e ci capii molto poco. Le onde del destino, lo difesi con gli amici che lo trovavano ridicolo, nonostante la fatica della visione e le perplessità sui "contenuti". Avevo voluto "concedere" un'opportunità al regista, pensando che al fondo di tanta esibizione del dolore vi fosse dell'umana pietà. Insomma, che non si potesse essere davvero così meschini da divertirsi con i sentimenti altrui e passarla liscia. Dancer in the dark, qualche anno dopo, mi dimostrerà che mi ero sbagliato. Non c'era molto da difendere. Da allora non sono più riuscito a vedere un film di Lars Von Trier.
Il suo è sì un cinema della crudeltà, ma verso lo spettatore. Questi è la vittima di un gioco sui sentimenti, sulle emozioni e anche sul pensiero, fine a se stesso. Nei film di Von Trier non vi è alcuna tragedia, alcuna catarsi. Solo eccessi, che traggono in inganno. Ma sarebbe anche sbagliato considerare Von Trier un sadico. Ciò che abilmente viene fatto apparire profondo e intenso, altro non è che gretto cinismo. Il sadismo, quello vero, quello del marchese de Sade, in realtà - giustamente - lo terrorizza. A lui è sufficiente giocare col ruolo che il suo talento innegabile gli ha permesso di costruire, quello del "provocatore organico" al mainstream, per sentirsi realizzato. I premi che puntualmente riceve ne sono la dimostrazione, il suo vero successo.

Finchè un giorno, al festival di Cannes 2011, il regista danese si lascia scappare alcune frasi:
"
Per lungo tempo ho pensato di essere ebreo ed ero felice di esserlo. Poi ho conosciuto Susanne Bier (regista danese ebrea) e non ero così contento. Ma dopo ho scoperto che in realtà ero un nazista. La mia famiglia era tedesca. E questo mi fa anche piacere. Cosa posso dire? Hitler lo capisco. Ovviamente ha fatto molte cose sbagliate, assolutamente, ma riesco a immaginarmelo mentre sedeva nel suo bunker quando tutto era finito. Sto solo dicendo che capisco l'uomo. Certo, non è proprio quello che definiresti un bravo ragazzo ma, sì, ho capito molto di lui e mi fa un po' di simpatia. Su ragazzi ,non sono mica per la seconda guerra mondiale. E non sono contro gli ebrei. Mi sento vicino agli ebrei. Ma non troppo, perché Israele è un dito nel culo"

Poco dopo, viste le reazioni non proprio favorevoli alla sua performance, il regista tutto d'un pezzo redige ben due comunicati stampa, dal momento che uno non era stato sufficiente a smorzare le polemiche. Nel secondo afferma, lapidario: "
Tengo sinceramente a scusarmi. Non sono antisemita, né razzista, né nazista".
Che smacco, per uno come lui, dovere rinnegare così platealmente le sue false provocazioni. Nel momento in cui si è trattato di scegliere se smontare il suo personaggio o rischiare probabili ritorsioni nell'ambiente cinematografico, il regista danese non ha avuto dubbi. Meglio perdere la faccia che perdere dei soldi.

Nel 1995, se non erro l'anno, Von Trier si presentò a Cannes con altri registi facenti parte del collettivo "Dogma". Sul tappeto rosso fecero la loro passerella accompagnati dalle note dell'Internazionale, marciando a pugno chiuso. Per caso von Trier era comunista e ora è diventato nazista? No, niente di tutto questo. Von Trier, dovrebbe essere chiaro ormai, non è uno che fa sul serio. Che siano passerelle, conferenze stampa o pellicole.
E allora, piuttosto che un suo film, meglio riguardarsi un Pozzetto o un Lino Banfi. Almeno ogni tanto si ride, e non ci si sente presi in giro.


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domenica 24 aprile 2011

WORLD INVASION di Jonathan Liebesman, USA 2011


Un film bestiale, al di sotto della decenza. Talmente rozzo da escludere qualsiasi tipo di interpretazione che non rimandi al film stesso; in altre parole, in questo che è un film di guerra, non si può nemmeno parlare di metafora di un qualunque conflitto realmente in atto, nè tantomeno di paure da esorcizzare o di propaganda pro USA. Qui ci sono soltanto dei soldati che urlano e sparano a un nemico, extraterrestre, che di fatto viene rappresentato come il Male assoluto. E se il nemico è il Male, come si fa a non stare dalla parte dei marines? Tutto viene ridotto alla rappresentazione di due estremi: bene/male, vita/morte, buono/cattivo, giusto/sbagliato ecc. In mezzo, il nulla.

La scena chiave, dal nostro punto di vista, è quella della cattura dell'alieno agonizzante. Per un paio di minuti, forse più, i soldati provano a finirlo, sparandogli raffiche una dietro l'altra, ma questo continua a resistere e non vuole saperne di morire. Ecco allora che il sergente-eroe del film, in questo caso aiutato dalla donna che ha appena salvato (una veterinaria (!)...), prende l'iniziativa e comincia a squartare l'alieno, alternando allo scanno svariate pugnalate mirate a scoprire quale sia l'organo vitale da colpire per uccidere il mostro.
La regia indugia non poco nel mostrare questa sorta di autopsia in vita, con l'intento di aggiungere ulteriore repulsione nei confronti del nemico, che risulta composto di vari strati di carne putrida e grigiastra. Una "sapiente" ellissi ci fa poi capire che l'operazione è lunga e impegnativa. Ma quando la cinepresa ritorna sul sergente-eroe, finalmente l'alieno muore. Lui e la veterinaria hanno scoperto che per ucciderlo, bisogna colpire il cuore... Pensiamo che sia sufficiente e ci fermiamo qui.

Questa assoluta riduzione del nemico a puro e semplice oggetto da annientare, aggiunta alla sequela di frasi pronunciate dai marines in combattimento ("vanno giù come birilli", "passaci sopra con le ruote", "hai sentito dolore?" ecc.), e ai vari
"yuhuuu", "yippeee", "uohuuu" esclamati ad ogni alieno ammazzato, ci dà comunque conto di un modo di pensare, di un modo di vedere le cose, di ragionare, che non è solo della finzione. Al nemico, che ormai è sempre più nemico assoluto, non viene più concesso nulla. Non c'è spazio per alcun tipo di umanità, perchè già nella sceneggiatura l'umanità è data in esclusiva a una sola delle parti in conflitto. Non vi possono essere sfumature o contraddizioni, perchè altrimenti la storia si complica. Così tutto è giustificabile, e il distacco con cui è girata la scena dello scannamento di cui sopra, provoca involontariamente un'inquietudine che è data dall'indifferenza con cui vengono commesse le atrocità.
Se oltre a tutto questo aggiungiamo ancora la banalità di ogni scelta di messinscena e di inquadratura (tutti clichè e tutte cose già viste in decine di altri film), la mediocrità di sceneggiatura e dialoghi (si rimpiange la "creatività" di Berretti verdi), l'utilizzo, incredibilmente spudorato e davvero imbarazzante, della peggiore retorica sull'eroismo dei marines, non si può che concludere che World Invasion sia uno dei peggiori film che negli ultimi anni ci sia capitato di vedere.

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domenica 17 aprile 2011

FACS OF LIFE di Silvia Maglioni e Graeme Thomson, lunedi 18 aprile su Fuori Orario, raitre


Silvia e Graeme sono due amici del Kinoglaz cineforum. Grazie a loro avevamo presentato il film di Giulio Bursi girato sul set di Quei loro incontri di Straub/Huillet, J'ecoute, e lo stesso Giulio Bursi aveva partecipato alla proiezione. Silvia e Graeme sono due artisti apolidi animati da sincero spirito di sperimentazione, eclettici, originali, impegnati. Siamo perciò felici che Fuori Orario abbia deciso di dedicargli dello spazio, e che domani notte il loro film sia finalmente visibile a tutti gli affezionati alle cose (mai) viste.

Per chi ne volesse sapere di più, il loro blog si chiama Terminal Beach.
Il blog del film invece è qui.

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venerdì 8 aprile 2011

THE WARD di John Carpenter, 2010




Sono lontani i tempi di Fantasmi da Marte, quando al festival di Venezia il pubblico in sala accolse con ovazioni e tifo da stadio la pellicola di Carpenter. Oggi, The Ward esce nelle sale italiane praticamente senza una vera promozione, in sordina, e dopo un'anteprima al festival del cinema di Torino che ha sostanzialmente deluso le aspettative. E' cambiato Carpenter o è cambiato il pubblico?
Definito da Serge Daney un regista grezzo, e cinematograficamente poco interessante, vedere oggi sul grande schermo un film come The Ward mette un pò di nostalgia. Perchè a noi sembra che ciò che in verità Carpenter voglia farci vedere, è che è possibile realizzare un horror americano senza per forza adattare lo stile alla frammentazione e ai ritmi frenetici del videoclip mainstream, e perchè a noi sembra che tutto sommato Carpenter sia riuscito nel suo intento, oltretutto senza rinunciare ai clichè del genere.
Magari ruvido, spesso privo di sfumature, Carpenter resta comunque, ancora oggi, un outsider della New Hollywood, ostinato nell'affermare che un altro cinema è (stato) possibile, e consapevole del proprio ruolo. Come spiega lo stesso Carpenter, "The Ward è un film old school da un regista old school".




I titoli di testa del film




Il trailer originale

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