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mercoledì 26 novembre 2003

Presentazione "Cane bianco"

CANE BIANCO

(USA 1982, col, 89’)

r.: Samuel Fuller
f.: Bruce Surtees
int.: Kristy McNichol, Paul Winfield,
Burl Ives, Jameson Parker


Penultimo film di Samuel Fuller e ultimo della programmazione invernale di quest’annata di KinoGlaz. Lungometraggio inizialmente in mano a Roman Polanski, di certo non ricordato tra i più rappresentativi del grande giornalista-regista, è invece una summa precisa delle indagini del cineasta. Malgrado l’estetica a prima vista appaia approssimativa, con vaghe caratteristiche da telefilm di molto cinema degli anni ottanta che lo accomunano ad un'altra opera straordinaria del periodo, Osterman Weekend (1983) di Sam Peckinpah, White Dog è costruito su di una messa in scena raffinatissima che esalta ogni codice nei suoi dettagli meno appariscenti. Un autentico emotion picture come avrebbe detto Fuller, un cinema cioè di puro intrattenimento e alto spettacolo che evita in ogni modo di farsi ingabbiare in dimensioni da cliché autoriale, mentre proprio Sammy fu per Godard non meno importante di Welles. Una riflessione sul male e sulla violenza, sul razzismo del belpensare statunitense e sull’impossibilità di passare illesi dal male al bene e viceversa malgrado i sogni più o meno personali degli uomini che, semplificando i rapporti di forza e di violenza, nel tentativo di correggere con le buone azioni il passato liberano la schizofrenia, la brutalità incondizionatamente cieca della modernità sempre pronta a colpire nel mucchio. Così il cane bianco possiamo leggerlo come il perfetto cittadino medio americano, educato dalla società all’intolleranza e pronto a moltiplicare la forza delle proprie azioni repressive nel momento in cui viene ‘educato al bene’.

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mercoledì 5 novembre 2003

Presentazione "La morte corre sul fiume"

LA MORTE CORRE SUL FIUME

(Charles Laughton)

Regia: Charles Laughton. Soggetto tratto dalla novella di Davis Grubb. Sceneggiatura: James Agee, Charles Laughton. Fotografia: Stanley Cortez. Musica: Walter Schumann. Montaggio: Robert Golden. Interpreti: Robert Mitchum, Shelley Winters, Lillian Gish

Produzione: Paul Gregory

Durata: 90’. USA 1955, b/n

Regia unica di uno dei più grandi attori prestati al cinema dalle scene inglesi e statunitensi, Night of the Hunter si colloca tra quelle eccezioni dialettiche tra il classico e lo sperimentale, spartiacque di uno dei decenni più importanti per le immagini in movimento. Classico nel senso del corteggiamento suadente al gusto narrativo di rado lineare, nella presenza delle migliori collaborazioni ipotizzabili per l’epoca: la luce che ammicca all’espressionismo di Cortez, l’ultima sceneggiatura di Agee, la forma smagliante della contraddizione di Mitchum e la grazia del volto antico di Lillian Gish. Sperimentale per la messa in scena lucidamente cosciente di non possedere i mezzi delle decisioni a tavolino, quindi costretta a inventarsi angoli di ripresa e tagli di inquadrature imprevedibili, stupefacenti, pirotecnici: «Resta il cinema dei punti di vista multipli, in definitiva il più grande. Quello a cui capita di essere popolare ma non lo è per forza. Quello che deve destreggiarsi con la paranoia, la legge, la follia. Fra quanti rientrano in questa categoria, che è quella del polifonico, del carnevalesco, non immagino film migliore de La morte corre sul fiume (forse Ivan il terribile, 2001: Odissea nello spazio, qualche Ford)» (S. Daney). Sempre in bilico tra le nocche tatuate di Harry Powell attraversiamo nello stesso istante della durata del film un susseguirsi di mondi apparentemente inconciliabili: l’esasperazione del falso puritanesimo provincialista statunitense che genera una morale folle ma contemporaneamente rigorosa, la concomitanza bilanciata sino al sublime del noir più torbido con la dimensione lirica e fiabesca. Proprio l’infanzia e le sue trappole legano questo film alla passata proiezione di M: due “mostri” della società che si accaniscono contro i bambini. Per entrambi, ma soprattutto per lo spettatore che deve trovare il coraggio di leggere tra le righe, vale il nero ammonimento delle cupe mamme langhiane: «Dovete aver cura dei vostri figli», sarebbe un errore immaginarlo banalmente rivolto alle famiglie delle vittime.

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