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mercoledì 9 aprile 2003

Presentazione "Gangs of New York"

GANGS OF NEW YORK

(USA 2002, col, 170’)

R. : Martin Scorses

s.: Jay Cocks

sc.: Jay Cocks, Steven Zailland, Kenneth Lonergan

f.: Michael Balhaus

m.: Thelma Schoonmaker

int.: Leonardo Di Caprio, Daniel Day Lewis, Cameron Diaz, Liam Neeson

Il cinema di Scorsese da sempre ci ha messo di fronte al rapporto tra l’autore, le sue opere, e le referenze critiche e passionali di determinati film e registi. Elemento che ha fondato con gli anni un pertinente, e per nulla nascosto, discorso contemporaneo sulla messa in scena della cinefilia che ci riporta immediatamente alle sue origini pratiche e teoriche, la «Nouvelle Vague». La presenza di Camille di Gorge Delerue in Casinò è solo uno degli elementi che inseriscono l’opera di Scorsese nelle le maglie di un complesso reticolato fatto di citazioni e rimandi, suggestioni e memorie, passioni e lucidità poetica, che attraversa una delle storie del cinema, la sua.

Gangs of New York pur continuando a esibire, con precisa consapevolezza, il ruolo di consumato spettatore con cui Scorsese è solito frequentare la pratica della regia, segna contemporaneamente la volontà di una ricerca antropologica autocritica, che mira senza presunzioni a riflettere sul proprio passato artistico seguendo un percorso in cui una forma sottile di metalinguaggio si rivolta su se stessa per divenire contemporaneamente oggetto di riflessione. La stratificazione del suo cinema, dallo spettacolo che non tradisce la stessa passionalità dello Scorsese spettatore alla cinefilia più ricercata, mantiene inalterati i tratti stilistici che ci hanno permesso di identificare e riconoscere l’autore fino ad oggi. Proprio la prima inquadratura del film ci dà la possibilità di vedere all’opera questa tendenza. L’uomo che si rade ci riporta in un istante ad uno dei primi cortometraggi dell’autore (The big shave, 1967) che inserisce le immagini che andremo a scorgere alle radici del cinema dell’autore stesso. Così un’opera in costume estranea ad una qualsivoglia età dell’innocenza si popola con i goodfellas delle gangs che dipingono uno scenario, uno sfondo antistorico e spettacolare che determina la principale essenza del film. Sapientemente Scorsese spreca senza nascondersi il plot melodrammatico costituito dalla vendetta di Amsterdam e dalla sua improbabile storia d’amore. Pochi i momenti concessi ai due e spesso assolutamente ridimensionati o ridicolizzati (come la comparsa di Bill avvolto dalla bandiera americana dopo la prima notte che la coppia passa insieme). Ciò che l’autore sostiene è infatti una dimensione strettamente cinematografica, la genesi preoccupante di un paese che non si può distinguere dallo spettacolo consumato e costruito dalla ‘passione’ scorsesiana. Il trucco, l’artificio e l’approssimazione del ricostruito si manifestano in ogni momento, come le strade finte che vogliono farci sentire la cartapesta e divengono a loro volta nuovi contenitori spettacolari di teatri (dall’elisabettiano al teatro di posa) e di battaglie carnevalesche. Un film fatto di sporcizia, di violenza, di ignoranza, che segna la consistenza dell’immigrato totale nordamericano, la costituzione con la forza della patria impossibile e dell’intolleranza. Inoltre c’è la New York dal basso di Scorsese ricostruita a cinecittà, in fondo la stessa autentica di Mean Streets e Goodfellas, che arriva fino alla nascita del cinema per potersi permettere le poche dissolvenza con cui il film si conclude, mostrandoci in un istante svanire il Novecento della metropoli statunitense che non ha cambiato di molto la sua costituzione. Opera incompresa, indigesta per l’oltreoceano e snobbata in Europa, Gangs of New York crescerà di importanza negli anni, fino a divenire pietra fondante di una imponente cinematografia nazionale abituata a vendicarsi dei capolavori generati al suo interno. L ’America nasce dalle strade come il cinema di Rossellini.

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