Presentazione "Gangster Story"
Gangster story
(Bonnie and
Regia: Arthur Penn
Sceneggiatura: David Newman, Robert Benton
Direttore della fotografia: Burnett Guffey
Scenografia: Dean Tavoularis, Raymond Paul
Musica: Charles Strouse
Canzoni: Foggy Mountain Breakdown (Flatt and Scruggs), Night Wind, The Shadow Waltz, One Hour with You: Eric Weissberg con la sua chitarra. Ginger Rogers canta We’re in the Money in uno spezzone di Gold Diggers of 1933
Montaggio: Dede Allen
Costumi: Theodora Van Runkle, Andy Maatyasi, Norma Brown
Effetti speciali: Danny Lee
Interpreti: Warren Beatty (Clyde Barrow), Faye Dunaway (Bonnie Parker), Michael J. Pollard (C.W. Moss), Gene Hackman (Buck Barrow), Estelle Parsons (Blanche Barrow), Denver Pyle (sceriffo Frank Hamer), Dub Taylor (Ivan Moss), Evans Evans (Velma Davis), James Stiver (il padrone della drogheria), Gene Wilder (Eugene Grizzard, l’ostaggio)
Produzione: Warren Beatty per Warner Bros (Tatira/Hiller Production)
Distribuzione: Warner/Seven Arts
Origine: USA (presentato nel luglio 1967)
Durata: 111’
Girato in gran parte a Dallas, Texas. 2 Oscar nel 1967: migliore attrice non protagonista (Estelle Parsons) e migliore fotografia (Burnett Guffey).
Bonnie e Clyde, due banditi in rivolta contro l’ipocrisia di un mondo perbenista, appiattito dalla tranquillità imposta dall’ordine costituito. Due fuorilegge lontani dalla criminalità organizzata delle metropoli, anche se di questa assumono molti stereotipi, ma piuttosto vicini a quei cowboys in costante movimento attraverso gli spazi aperti del far west americano. I cavalli vengono sostituiti da auto veloci e scattanti. Le diligenze e i saloon, dalle banche e dai drugstores. Delle bande metropolitane in guerra contro il proibizionismo imposto dal governo, Bonnie e Clyde imitano le movenze, l’abbigliamento, la gestualità. L’estetica di un Al Capone è tuttavia inserita in un contesto totalmente diverso, tanto che spesso questa riproduzione ne mostra i limiti e le contraddizioni.
La selvaggia disperazione dei due banditi affonda infatti le sue radici nelle terre puritane del sud e del midwest degli Stati Uniti d’America, società costretta nella normalità, in cui il minimo slancio anticonformista può rappresentare per l’istituzione una rivoluzione tale da necessitare una repressione violenta e esemplare. La gente del sud, ridotta alla povertà dalla Depressione, viene sradicata dalle sue terre e si vede la propria casa venir confiscata dalle banche. E’ questa desolazione sociale e esistenziale a far da sfondo alla scelta di una vita nell’illegalità e nella clandestinità assunta dalla coppia. Scelta che se nasce per un incontro casuale dei due, diventa ben presto una scelta morale, fuori dai canoni voluti dalla società. Il viaggio non è dunque solo fuga, ma occasione di crescita personale e di presa di coscienza per i due personaggi. Bonnie e Clyde non scappano solo dalla polizia, ma anche dalla vita che qualcuno avrebbe voluto per loro, assumendosi tutti i rischi che questo atto comporta. Anche la morte, morte che arriva per un’infame delazione.
Bonnie e Clyde diventano così parte del mito, entrando con forza nell’immaginario collettivo. Accade che sia la morte a determinare il passaggio definitivo dell’uomo dalla realtà alla leggenda. Qui la costruzione del mito si avvia con gli eroi ancora in vita; le istituzioni (la polizia, le contee, la stampa) avviano un processo di mitizzazione attribuendo alla coppia reati che essa non ha compiuto. La polizia enfatizza e mistifica a tal punto le azioni dei due banditi, che nemmeno loro riusciranno a riconoscersi nelle descrizioni offerte dai giornali. Clyde si renderà conto di essere un fuorilegge da ciò che scrive la stampa, ma purtroppo si accorgerà di averlo capito troppo tardi.
I due banditi diventano figure leggendarie nel corso del film (nel corso della loro esistenza), cosicché la morte non fa che suggellare e rendere eterno qualcosa che era già parte della vita. Il film, con immagini evanescenti e sfuocate di un ricordo che fatica a tornare, riproduce la realtà di un mito, posando il suo sguardo su una vita che mentre si fa, diventa leggenda. L’esistenza, resa eterna nel suo divenire mito, moltiplica grazie al cinema le sue potenzialità di memoria. Così la morte, che violentemente rallentata sembra non finire mai per poter diventare infinita.