"1977. IMMAGINI PER UN DIARIO RITROVATO" di Benini, Lo Sardo, Malfatto
SENZA ARTE NE' PARTE
Miseria di un documentario tv
Per il ciclo La grande storia è andato in onda ieri sera (30 dicembre 2007) su raitre un documentario intitolato 1977. Immagini per un diario ritrovato. Gli autori accreditati sono ben tre: Roberto Benini, Francesco Lo Sardo e Roberto Malfatto. Quest'ultimo in un'intervista ha dichiarato:
Volevamo restituire un clima, far vivere quelle emozioni anche a chi all’epoca non c’era ed è stato possibile grazie al materiale di privati, oltre a quello delle Teche Rai, che siamo riusciti a ritrovare. Non volevamo fare un film ‘politico’, esprimere giudizi anche se molte immagini sono abbastanza eloquenti perché il pubblico, un’idea, possa farsela da solo. Non è un film solo sul movimento ma in generale su un periodo che a nostro parere ha segnato la storia molto più del ‘68.
Ebbene, l'obiettivo che i tre si erano posti è stato certamente mancato.
E' sempre alquanto fastidioso scoprire che persone che hanno vissuto quell'anno così particolare siano capaci di ridurre un'esperienza collettiva di enorme rilevanza e significato storico come quella del movimento del 77 in pochi e scontati luoghi comuni. In questo caso specifico, la complessità e il peso di quell'esperienza non si riesce più a porre in relazione con la realtà vissuta in quanto la prima è costretta nella carreggiata di una sorta di autostrada della visione in cui ogni asperità viene accuratamente appianata dal rullo compressore dell'ideologia buonista di cui i tre autori sono portatori consapevoli. Ecco allora come comunisti, fascisti, politici, giornalisti, studenti, femministe, poliziotti e carabinieri finiscono uniti "tutti insieme appassionatamente" in uno spettacolo di amore e morte che ha da comunicare un solo inutile messaggio: "Anche noi [i "registi"] c'eravamo". Dove e come non ci è dato saperlo.
Se poi si scende su un piano tecnico-estetico la situazione, se possibile, peggiora. Il film non è altro che una confusa accozzaglia di immagini d'epoca (tra l'altro per il 90% viste e riviste) sostenute da un'interminabile e ridondante susseguirsi di celeberrime canzoni rock, e commentate da un testo scritto ad hoc, per giunta "recitato" da un'attrice da filodrammatica con tanto di leggio d'ordinanza, e che senza alcun rispetto per l'intelligenza dello spettatore, viene pure inquadrata mentre esegue i "pezzi di bravura".
Nel film è totalmente assente una qualunque idea portante degna di essere chiamata tale, così come sono assenti senso della durata dell'inquadratura, del ritmo, dell'intensità, ipotesi di montaggio ecc. In breve, è assente un benchè minimo straccio di stile. Uno dei vertici di tanta miseria ce lo forniscono le immagini del funerale di Giorgiana Masi, quando durante il corteo funebre un sapiente rallenti (o una zoomata, non ricordiamo più con precisione) indugia su uno dei giovani che porta la bara, che altri non è che il famoso Francesco Rutelli... E che dire poi dell'epilogo, in cui una selezione delle immagini appena mostrate vengono rimontate (si fa per dire) sulle note di Like a rolling stone (anch'essa, senza pietà, malamente tranciata a metà per farci riascoltare il ritornello)?
Il film si conclude con una frase, falsa, ottusa e paradossale come tutto il documentario: "Di tutto ciò che ha caratterizzato quest’anno, resterà solo il ricordo della violenza".
Falsa perchè per sfortuna degli autori ci sono ancora molte persone che di quell'anno, oltre a ricordare tante altre cose, sono capaci di rivendicarne tutta la ricchezza e le contraddizioni (e non solo la parte commestibile, quella buona per la tv); ottusa perchè vorrebbe farci credere che scivolare sulla superficie degli eventi equivalga a parteciparvi (e allora puntuale il rammarico che la Storia non riesca a piegarsi al bisogno di una storia a proprio uso e consumo) ; paradossale perchè il documentario è costruito su immagini di scontri, morti e funerali, e dunque legittimamente ci chiediamo cosa può avere impedito agli autori di mostrare in alternativa alla violenza 50 minuti di indiani metropolitani, sedute di autocoscienza, assemblee, radio libere ecc.
Non ci resta a questo punto altro da fare che suggerire a chi fosse interessato ai temi che il documentario di raitre avrebbe voluto affrontare di recuperare, per cominciare, alcuni film di Alberto Grifi (Parco Lambro, Anna, Lia, Michele alla ricerca della felicità), e in qualche modo di contribuire affinchè il "diario ritrovato" di Benini, Lo Sardo e Malfatto venga nuovamente perduto. E sperare che a qualche insegnante illuminato non venga mai in mente di mostrarlo ai suoi allievi per spiegare gli anni settanta in Italia.
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Volevamo restituire un clima, far vivere quelle emozioni anche a chi all’epoca non c’era ed è stato possibile grazie al materiale di privati, oltre a quello delle Teche Rai, che siamo riusciti a ritrovare. Non volevamo fare un film ‘politico’, esprimere giudizi anche se molte immagini sono abbastanza eloquenti perché il pubblico, un’idea, possa farsela da solo. Non è un film solo sul movimento ma in generale su un periodo che a nostro parere ha segnato la storia molto più del ‘68.
Ebbene, l'obiettivo che i tre si erano posti è stato certamente mancato.
E' sempre alquanto fastidioso scoprire che persone che hanno vissuto quell'anno così particolare siano capaci di ridurre un'esperienza collettiva di enorme rilevanza e significato storico come quella del movimento del 77 in pochi e scontati luoghi comuni. In questo caso specifico, la complessità e il peso di quell'esperienza non si riesce più a porre in relazione con la realtà vissuta in quanto la prima è costretta nella carreggiata di una sorta di autostrada della visione in cui ogni asperità viene accuratamente appianata dal rullo compressore dell'ideologia buonista di cui i tre autori sono portatori consapevoli. Ecco allora come comunisti, fascisti, politici, giornalisti, studenti, femministe, poliziotti e carabinieri finiscono uniti "tutti insieme appassionatamente" in uno spettacolo di amore e morte che ha da comunicare un solo inutile messaggio: "Anche noi [i "registi"] c'eravamo". Dove e come non ci è dato saperlo.
Se poi si scende su un piano tecnico-estetico la situazione, se possibile, peggiora. Il film non è altro che una confusa accozzaglia di immagini d'epoca (tra l'altro per il 90% viste e riviste) sostenute da un'interminabile e ridondante susseguirsi di celeberrime canzoni rock, e commentate da un testo scritto ad hoc, per giunta "recitato" da un'attrice da filodrammatica con tanto di leggio d'ordinanza, e che senza alcun rispetto per l'intelligenza dello spettatore, viene pure inquadrata mentre esegue i "pezzi di bravura".
Nel film è totalmente assente una qualunque idea portante degna di essere chiamata tale, così come sono assenti senso della durata dell'inquadratura, del ritmo, dell'intensità, ipotesi di montaggio ecc. In breve, è assente un benchè minimo straccio di stile. Uno dei vertici di tanta miseria ce lo forniscono le immagini del funerale di Giorgiana Masi, quando durante il corteo funebre un sapiente rallenti (o una zoomata, non ricordiamo più con precisione) indugia su uno dei giovani che porta la bara, che altri non è che il famoso Francesco Rutelli... E che dire poi dell'epilogo, in cui una selezione delle immagini appena mostrate vengono rimontate (si fa per dire) sulle note di Like a rolling stone (anch'essa, senza pietà, malamente tranciata a metà per farci riascoltare il ritornello)?
Il film si conclude con una frase, falsa, ottusa e paradossale come tutto il documentario: "Di tutto ciò che ha caratterizzato quest’anno, resterà solo il ricordo della violenza".
Falsa perchè per sfortuna degli autori ci sono ancora molte persone che di quell'anno, oltre a ricordare tante altre cose, sono capaci di rivendicarne tutta la ricchezza e le contraddizioni (e non solo la parte commestibile, quella buona per la tv); ottusa perchè vorrebbe farci credere che scivolare sulla superficie degli eventi equivalga a parteciparvi (e allora puntuale il rammarico che la Storia non riesca a piegarsi al bisogno di una storia a proprio uso e consumo) ; paradossale perchè il documentario è costruito su immagini di scontri, morti e funerali, e dunque legittimamente ci chiediamo cosa può avere impedito agli autori di mostrare in alternativa alla violenza 50 minuti di indiani metropolitani, sedute di autocoscienza, assemblee, radio libere ecc.
Non ci resta a questo punto altro da fare che suggerire a chi fosse interessato ai temi che il documentario di raitre avrebbe voluto affrontare di recuperare, per cominciare, alcuni film di Alberto Grifi (Parco Lambro, Anna, Lia, Michele alla ricerca della felicità), e in qualche modo di contribuire affinchè il "diario ritrovato" di Benini, Lo Sardo e Malfatto venga nuovamente perduto. E sperare che a qualche insegnante illuminato non venga mai in mente di mostrarlo ai suoi allievi per spiegare gli anni settanta in Italia.