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mercoledì 18 maggio 2011

Su Lars Von Trier



Ci sono molti modi per vedere un film. Con gli occhi, con la testa, con il cuore. Alcuni, sono come un colpo di fulmine, altri ti prendono allo stomaco. Altri ancora, a naso, lasciano dei dubbi. Dei film di Lars Von Trier, per esempio, non ci siamo mai veramente fidati. Personalmente, vidi Europa alla sua uscita, e ci capii molto poco. Le onde del destino, lo difesi con gli amici che lo trovavano ridicolo, nonostante la fatica della visione e le perplessità sui "contenuti". Avevo voluto "concedere" un'opportunità al regista, pensando che al fondo di tanta esibizione del dolore vi fosse dell'umana pietà. Insomma, che non si potesse essere davvero così meschini da divertirsi con i sentimenti altrui e passarla liscia. Dancer in the dark, qualche anno dopo, mi dimostrerà che mi ero sbagliato. Non c'era molto da difendere. Da allora non sono più riuscito a vedere un film di Lars Von Trier.
Il suo è sì un cinema della crudeltà, ma verso lo spettatore. Questi è la vittima di un gioco sui sentimenti, sulle emozioni e anche sul pensiero, fine a se stesso. Nei film di Von Trier non vi è alcuna tragedia, alcuna catarsi. Solo eccessi, che traggono in inganno. Ma sarebbe anche sbagliato considerare Von Trier un sadico. Ciò che abilmente viene fatto apparire profondo e intenso, altro non è che gretto cinismo. Il sadismo, quello vero, quello del marchese de Sade, in realtà - giustamente - lo terrorizza. A lui è sufficiente giocare col ruolo che il suo talento innegabile gli ha permesso di costruire, quello del "provocatore organico" al mainstream, per sentirsi realizzato. I premi che puntualmente riceve ne sono la dimostrazione, il suo vero successo.

Finchè un giorno, al festival di Cannes 2011, il regista danese si lascia scappare alcune frasi:
"
Per lungo tempo ho pensato di essere ebreo ed ero felice di esserlo. Poi ho conosciuto Susanne Bier (regista danese ebrea) e non ero così contento. Ma dopo ho scoperto che in realtà ero un nazista. La mia famiglia era tedesca. E questo mi fa anche piacere. Cosa posso dire? Hitler lo capisco. Ovviamente ha fatto molte cose sbagliate, assolutamente, ma riesco a immaginarmelo mentre sedeva nel suo bunker quando tutto era finito. Sto solo dicendo che capisco l'uomo. Certo, non è proprio quello che definiresti un bravo ragazzo ma, sì, ho capito molto di lui e mi fa un po' di simpatia. Su ragazzi ,non sono mica per la seconda guerra mondiale. E non sono contro gli ebrei. Mi sento vicino agli ebrei. Ma non troppo, perché Israele è un dito nel culo"

Poco dopo, viste le reazioni non proprio favorevoli alla sua performance, il regista tutto d'un pezzo redige ben due comunicati stampa, dal momento che uno non era stato sufficiente a smorzare le polemiche. Nel secondo afferma, lapidario: "
Tengo sinceramente a scusarmi. Non sono antisemita, né razzista, né nazista".
Che smacco, per uno come lui, dovere rinnegare così platealmente le sue false provocazioni. Nel momento in cui si è trattato di scegliere se smontare il suo personaggio o rischiare probabili ritorsioni nell'ambiente cinematografico, il regista danese non ha avuto dubbi. Meglio perdere la faccia che perdere dei soldi.

Nel 1995, se non erro l'anno, Von Trier si presentò a Cannes con altri registi facenti parte del collettivo "Dogma". Sul tappeto rosso fecero la loro passerella accompagnati dalle note dell'Internazionale, marciando a pugno chiuso. Per caso von Trier era comunista e ora è diventato nazista? No, niente di tutto questo. Von Trier, dovrebbe essere chiaro ormai, non è uno che fa sul serio. Che siano passerelle, conferenze stampa o pellicole.
E allora, piuttosto che un suo film, meglio riguardarsi un Pozzetto o un Lino Banfi. Almeno ogni tanto si ride, e non ci si sente presi in giro.


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domenica 24 aprile 2011

WORLD INVASION di Jonathan Liebesman, USA 2011


Un film bestiale, al di sotto della decenza. Talmente rozzo da escludere qualsiasi tipo di interpretazione che non rimandi al film stesso; in altre parole, in questo che è un film di guerra, non si può nemmeno parlare di metafora di un qualunque conflitto realmente in atto, nè tantomeno di paure da esorcizzare o di propaganda pro USA. Qui ci sono soltanto dei soldati che urlano e sparano a un nemico, extraterrestre, che di fatto viene rappresentato come il Male assoluto. E se il nemico è il Male, come si fa a non stare dalla parte dei marines? Tutto viene ridotto alla rappresentazione di due estremi: bene/male, vita/morte, buono/cattivo, giusto/sbagliato ecc. In mezzo, il nulla.

La scena chiave, dal nostro punto di vista, è quella della cattura dell'alieno agonizzante. Per un paio di minuti, forse più, i soldati provano a finirlo, sparandogli raffiche una dietro l'altra, ma questo continua a resistere e non vuole saperne di morire. Ecco allora che il sergente-eroe del film, in questo caso aiutato dalla donna che ha appena salvato (una veterinaria (!)...), prende l'iniziativa e comincia a squartare l'alieno, alternando allo scanno svariate pugnalate mirate a scoprire quale sia l'organo vitale da colpire per uccidere il mostro.
La regia indugia non poco nel mostrare questa sorta di autopsia in vita, con l'intento di aggiungere ulteriore repulsione nei confronti del nemico, che risulta composto di vari strati di carne putrida e grigiastra. Una "sapiente" ellissi ci fa poi capire che l'operazione è lunga e impegnativa. Ma quando la cinepresa ritorna sul sergente-eroe, finalmente l'alieno muore. Lui e la veterinaria hanno scoperto che per ucciderlo, bisogna colpire il cuore... Pensiamo che sia sufficiente e ci fermiamo qui.

Questa assoluta riduzione del nemico a puro e semplice oggetto da annientare, aggiunta alla sequela di frasi pronunciate dai marines in combattimento ("vanno giù come birilli", "passaci sopra con le ruote", "hai sentito dolore?" ecc.), e ai vari
"yuhuuu", "yippeee", "uohuuu" esclamati ad ogni alieno ammazzato, ci dà comunque conto di un modo di pensare, di un modo di vedere le cose, di ragionare, che non è solo della finzione. Al nemico, che ormai è sempre più nemico assoluto, non viene più concesso nulla. Non c'è spazio per alcun tipo di umanità, perchè già nella sceneggiatura l'umanità è data in esclusiva a una sola delle parti in conflitto. Non vi possono essere sfumature o contraddizioni, perchè altrimenti la storia si complica. Così tutto è giustificabile, e il distacco con cui è girata la scena dello scannamento di cui sopra, provoca involontariamente un'inquietudine che è data dall'indifferenza con cui vengono commesse le atrocità.
Se oltre a tutto questo aggiungiamo ancora la banalità di ogni scelta di messinscena e di inquadratura (tutti clichè e tutte cose già viste in decine di altri film), la mediocrità di sceneggiatura e dialoghi (si rimpiange la "creatività" di Berretti verdi), l'utilizzo, incredibilmente spudorato e davvero imbarazzante, della peggiore retorica sull'eroismo dei marines, non si può che concludere che World Invasion sia uno dei peggiori film che negli ultimi anni ci sia capitato di vedere.

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domenica 17 aprile 2011

FACS OF LIFE di Silvia Maglioni e Graeme Thomson, lunedi 18 aprile su Fuori Orario, raitre


Silvia e Graeme sono due amici del Kinoglaz cineforum. Grazie a loro avevamo presentato il film di Giulio Bursi girato sul set di Quei loro incontri di Straub/Huillet, J'ecoute, e lo stesso Giulio Bursi aveva partecipato alla proiezione. Silvia e Graeme sono due artisti apolidi animati da sincero spirito di sperimentazione, eclettici, originali, impegnati. Siamo perciò felici che Fuori Orario abbia deciso di dedicargli dello spazio, e che domani notte il loro film sia finalmente visibile a tutti gli affezionati alle cose (mai) viste.

Per chi ne volesse sapere di più, il loro blog si chiama Terminal Beach.
Il blog del film invece è qui.

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venerdì 8 aprile 2011

THE WARD di John Carpenter, 2010




Sono lontani i tempi di Fantasmi da Marte, quando al festival di Venezia il pubblico in sala accolse con ovazioni e tifo da stadio la pellicola di Carpenter. Oggi, The Ward esce nelle sale italiane praticamente senza una vera promozione, in sordina, e dopo un'anteprima al festival del cinema di Torino che ha sostanzialmente deluso le aspettative. E' cambiato Carpenter o è cambiato il pubblico?
Definito da Serge Daney un regista grezzo, e cinematograficamente poco interessante, vedere oggi sul grande schermo un film come The Ward mette un pò di nostalgia. Perchè a noi sembra che ciò che in verità Carpenter voglia farci vedere, è che è possibile realizzare un horror americano senza per forza adattare lo stile alla frammentazione e ai ritmi frenetici del videoclip mainstream, e perchè a noi sembra che tutto sommato Carpenter sia riuscito nel suo intento, oltretutto senza rinunciare ai clichè del genere.
Magari ruvido, spesso privo di sfumature, Carpenter resta comunque, ancora oggi, un outsider della New Hollywood, ostinato nell'affermare che un altro cinema è (stato) possibile, e consapevole del proprio ruolo. Come spiega lo stesso Carpenter, "The Ward è un film old school da un regista old school".




I titoli di testa del film




Il trailer originale

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martedì 5 aprile 2011

CINEFORUM



Siamo spiacenti di comunicare che, salvo sorprese, il cineforum che normalmente si tiene nei mesi di marzo, aprile e maggio presso il centro sociale Askatasuna, quest'anno non avrà luogo.

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lunedì 28 marzo 2011

"LA MASCHERA DELLA MORTE ROSSA": il Bunga Bunga secondo Corman?

Pubblichiamo questa clip tratta dal film "La maschera della morte rossa" di Roger Corman per i seguenti motivi: perchè lo abbiamo appena visto e ci è piaciuto, perchè ci fa pensare ad alcune cose che accadono nel mondo, e perchè ci offre un'immagine del potere e della ricchezza non troppo "indulgente". Sapendo che la realtà è assai più sordida e miserabile.


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giovedì 24 marzo 2011

APPELLO PER "LO ZIO DI BROOKLYN"



Poichè consideriamo eccezionali i film di Ciprì e Maresco, abbiamo deciso di riprendere un appello che da qualche giorno sta circolando in rete. Invitiamo a firmarlo, e soprattutto invitiamo tutti coloro che non hanno mai visto un lungometraggio dei due autori siciliani, a colmare la lacuna.

Intanto, ecco i primi minuti del film





E questo è l'appello:

Signor Aurelio De Laurentiis,
nel 1995 la Filmauro, società da Lei diretta, si occupò della distribuzione del primo lungometraggio di Daniele Ciprì e Franco Maresco, Lo Zio di Brooklyn, acquistandone in seguito la proprietà da Galliano Juso. Il film non lasciò certo indifferenti: fece discutere e divise la critica e il pubblico italiano, come avvenne tre anni dopo con la seconda opera dei due autori palermitani, Totò che visse due volte. La Sua società si occupò anche della distribuzione home-video del film, dimenticando però di mettere i sottotitoli (com’era avvenuto per le sale) e impedendo così di fatto la possibilità di una fruizione estesa dell’opera. A sedici anni di distanza dall’uscita de Lo Zio di Brooklyn non è oggi possibile reperire il film per l’acquisto o il noleggio, né si ha notizia di progetti di restauro della pellicola, qualora necessario. Siamo a conoscenza del concreto e coraggioso interesse di un distributore francese per ridare vita al film anche fuori dai nostri confini: ma di fatto, dopo un anno, l’accordo non si è ancora concluso a causa dell’inspiegabile e prolungato silenzio della Filmauro. Questa situazione non è più accettabile e dunque le chiediamo pubblicamente di liberare il film dall’oblio forzato in cui è stato relegato, offrendo la possibilità di vederlo (o rivederlo) a chiunque. Non si tratta certo di un “recupero” da cui attendersi grandi riconoscimenti commerciali, ma crediamo che la restituzione del film al suo luogo naturale, la pubblica fruizione, possa dare un contributo importante a una maggiore conoscenza del cinema italiano anche in altri paesi del mondo. Già Totò che visse due volte, presentato nel 2009 in Francia, ebbe un ottimo riscontro da parte della critica essendo definito da Libération “l’un des meilleurs films de la décennie”. Alla luce di questa precedente positiva esperienza, crediamo giusto e opportuno che Lei ponga rimedio allo stato di abbandono in cui Lo zio di Brooklyn è stato confinato. Le chiediamo, pertanto, di rendere possibile ancora, dopo tanti anni, la visione del film di Ciprì e Maresco a tutti gli appassionati di cinema, in Italia e altrove.

Aderisci inviando il tuo nome e cognome a ilritornodeloziodibrooklyn@gmail.com

p.s. 2012: alla fine, non sappiamo se anche grazie all'appello, il dvd è stato pubblicato dalla Filmauro, in una versione restaurata e ricca di extra. Assolutamente da avere.

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martedì 15 febbraio 2011

Coincidenze/Corrispondenze #2

I 400 colpi


Pietro

Il colloquio dalla psicologa di Antoin Doinel ne I 400 colpi di Francois Truffaut e il monologo - confessione di Pietro nell'omonimo film di Daniele Gaglianone. Epoche diverse, storie diverse, diversi destini. A unirli, uno stesso sguardo di cineasta. Tenero, discreto, inesorabile.

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