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domenica 24 aprile 2011

WORLD INVASION di Jonathan Liebesman, USA 2011


Un film bestiale, al di sotto della decenza. Talmente rozzo da escludere qualsiasi tipo di interpretazione che non rimandi al film stesso; in altre parole, in questo che è un film di guerra, non si può nemmeno parlare di metafora di un qualunque conflitto realmente in atto, nè tantomeno di paure da esorcizzare o di propaganda pro USA. Qui ci sono soltanto dei soldati che urlano e sparano a un nemico, extraterrestre, che di fatto viene rappresentato come il Male assoluto. E se il nemico è il Male, come si fa a non stare dalla parte dei marines? Tutto viene ridotto alla rappresentazione di due estremi: bene/male, vita/morte, buono/cattivo, giusto/sbagliato ecc. In mezzo, il nulla.

La scena chiave, dal nostro punto di vista, è quella della cattura dell'alieno agonizzante. Per un paio di minuti, forse più, i soldati provano a finirlo, sparandogli raffiche una dietro l'altra, ma questo continua a resistere e non vuole saperne di morire. Ecco allora che il sergente-eroe del film, in questo caso aiutato dalla donna che ha appena salvato (una veterinaria (!)...), prende l'iniziativa e comincia a squartare l'alieno, alternando allo scanno svariate pugnalate mirate a scoprire quale sia l'organo vitale da colpire per uccidere il mostro.
La regia indugia non poco nel mostrare questa sorta di autopsia in vita, con l'intento di aggiungere ulteriore repulsione nei confronti del nemico, che risulta composto di vari strati di carne putrida e grigiastra. Una "sapiente" ellissi ci fa poi capire che l'operazione è lunga e impegnativa. Ma quando la cinepresa ritorna sul sergente-eroe, finalmente l'alieno muore. Lui e la veterinaria hanno scoperto che per ucciderlo, bisogna colpire il cuore... Pensiamo che sia sufficiente e ci fermiamo qui.

Questa assoluta riduzione del nemico a puro e semplice oggetto da annientare, aggiunta alla sequela di frasi pronunciate dai marines in combattimento ("vanno giù come birilli", "passaci sopra con le ruote", "hai sentito dolore?" ecc.), e ai vari
"yuhuuu", "yippeee", "uohuuu" esclamati ad ogni alieno ammazzato, ci dà comunque conto di un modo di pensare, di un modo di vedere le cose, di ragionare, che non è solo della finzione. Al nemico, che ormai è sempre più nemico assoluto, non viene più concesso nulla. Non c'è spazio per alcun tipo di umanità, perchè già nella sceneggiatura l'umanità è data in esclusiva a una sola delle parti in conflitto. Non vi possono essere sfumature o contraddizioni, perchè altrimenti la storia si complica. Così tutto è giustificabile, e il distacco con cui è girata la scena dello scannamento di cui sopra, provoca involontariamente un'inquietudine che è data dall'indifferenza con cui vengono commesse le atrocità.
Se oltre a tutto questo aggiungiamo ancora la banalità di ogni scelta di messinscena e di inquadratura (tutti clichè e tutte cose già viste in decine di altri film), la mediocrità di sceneggiatura e dialoghi (si rimpiange la "creatività" di Berretti verdi), l'utilizzo, incredibilmente spudorato e davvero imbarazzante, della peggiore retorica sull'eroismo dei marines, non si può che concludere che World Invasion sia uno dei peggiori film che negli ultimi anni ci sia capitato di vedere.

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domenica 17 aprile 2011

FACS OF LIFE di Silvia Maglioni e Graeme Thomson, lunedi 18 aprile su Fuori Orario, raitre


Silvia e Graeme sono due amici del Kinoglaz cineforum. Grazie a loro avevamo presentato il film di Giulio Bursi girato sul set di Quei loro incontri di Straub/Huillet, J'ecoute, e lo stesso Giulio Bursi aveva partecipato alla proiezione. Silvia e Graeme sono due artisti apolidi animati da sincero spirito di sperimentazione, eclettici, originali, impegnati. Siamo perciò felici che Fuori Orario abbia deciso di dedicargli dello spazio, e che domani notte il loro film sia finalmente visibile a tutti gli affezionati alle cose (mai) viste.

Per chi ne volesse sapere di più, il loro blog si chiama Terminal Beach.
Il blog del film invece è qui.

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venerdì 8 aprile 2011

THE WARD di John Carpenter, 2010




Sono lontani i tempi di Fantasmi da Marte, quando al festival di Venezia il pubblico in sala accolse con ovazioni e tifo da stadio la pellicola di Carpenter. Oggi, The Ward esce nelle sale italiane praticamente senza una vera promozione, in sordina, e dopo un'anteprima al festival del cinema di Torino che ha sostanzialmente deluso le aspettative. E' cambiato Carpenter o è cambiato il pubblico?
Definito da Serge Daney un regista grezzo, e cinematograficamente poco interessante, vedere oggi sul grande schermo un film come The Ward mette un pò di nostalgia. Perchè a noi sembra che ciò che in verità Carpenter voglia farci vedere, è che è possibile realizzare un horror americano senza per forza adattare lo stile alla frammentazione e ai ritmi frenetici del videoclip mainstream, e perchè a noi sembra che tutto sommato Carpenter sia riuscito nel suo intento, oltretutto senza rinunciare ai clichè del genere.
Magari ruvido, spesso privo di sfumature, Carpenter resta comunque, ancora oggi, un outsider della New Hollywood, ostinato nell'affermare che un altro cinema è (stato) possibile, e consapevole del proprio ruolo. Come spiega lo stesso Carpenter, "The Ward è un film old school da un regista old school".




I titoli di testa del film




Il trailer originale

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martedì 5 aprile 2011

CINEFORUM



Siamo spiacenti di comunicare che, salvo sorprese, il cineforum che normalmente si tiene nei mesi di marzo, aprile e maggio presso il centro sociale Askatasuna, quest'anno non avrà luogo.

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lunedì 28 marzo 2011

"LA MASCHERA DELLA MORTE ROSSA": il Bunga Bunga secondo Corman?

Pubblichiamo questa clip tratta dal film "La maschera della morte rossa" di Roger Corman per i seguenti motivi: perchè lo abbiamo appena visto e ci è piaciuto, perchè ci fa pensare ad alcune cose che accadono nel mondo, e perchè ci offre un'immagine del potere e della ricchezza non troppo "indulgente". Sapendo che la realtà è assai più sordida e miserabile.


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giovedì 24 marzo 2011

APPELLO PER "LO ZIO DI BROOKLYN"



Poichè consideriamo eccezionali i film di Ciprì e Maresco, abbiamo deciso di riprendere un appello che da qualche giorno sta circolando in rete. Invitiamo a firmarlo, e soprattutto invitiamo tutti coloro che non hanno mai visto un lungometraggio dei due autori siciliani, a colmare la lacuna.

Intanto, ecco i primi minuti del film





E questo è l'appello:

Signor Aurelio De Laurentiis,
nel 1995 la Filmauro, società da Lei diretta, si occupò della distribuzione del primo lungometraggio di Daniele Ciprì e Franco Maresco, Lo Zio di Brooklyn, acquistandone in seguito la proprietà da Galliano Juso. Il film non lasciò certo indifferenti: fece discutere e divise la critica e il pubblico italiano, come avvenne tre anni dopo con la seconda opera dei due autori palermitani, Totò che visse due volte. La Sua società si occupò anche della distribuzione home-video del film, dimenticando però di mettere i sottotitoli (com’era avvenuto per le sale) e impedendo così di fatto la possibilità di una fruizione estesa dell’opera. A sedici anni di distanza dall’uscita de Lo Zio di Brooklyn non è oggi possibile reperire il film per l’acquisto o il noleggio, né si ha notizia di progetti di restauro della pellicola, qualora necessario. Siamo a conoscenza del concreto e coraggioso interesse di un distributore francese per ridare vita al film anche fuori dai nostri confini: ma di fatto, dopo un anno, l’accordo non si è ancora concluso a causa dell’inspiegabile e prolungato silenzio della Filmauro. Questa situazione non è più accettabile e dunque le chiediamo pubblicamente di liberare il film dall’oblio forzato in cui è stato relegato, offrendo la possibilità di vederlo (o rivederlo) a chiunque. Non si tratta certo di un “recupero” da cui attendersi grandi riconoscimenti commerciali, ma crediamo che la restituzione del film al suo luogo naturale, la pubblica fruizione, possa dare un contributo importante a una maggiore conoscenza del cinema italiano anche in altri paesi del mondo. Già Totò che visse due volte, presentato nel 2009 in Francia, ebbe un ottimo riscontro da parte della critica essendo definito da Libération “l’un des meilleurs films de la décennie”. Alla luce di questa precedente positiva esperienza, crediamo giusto e opportuno che Lei ponga rimedio allo stato di abbandono in cui Lo zio di Brooklyn è stato confinato. Le chiediamo, pertanto, di rendere possibile ancora, dopo tanti anni, la visione del film di Ciprì e Maresco a tutti gli appassionati di cinema, in Italia e altrove.

Aderisci inviando il tuo nome e cognome a ilritornodeloziodibrooklyn@gmail.com

p.s. 2012: alla fine, non sappiamo se anche grazie all'appello, il dvd è stato pubblicato dalla Filmauro, in una versione restaurata e ricca di extra. Assolutamente da avere.

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martedì 15 febbraio 2011

Coincidenze/Corrispondenze #2

I 400 colpi


Pietro

Il colloquio dalla psicologa di Antoin Doinel ne I 400 colpi di Francois Truffaut e il monologo - confessione di Pietro nell'omonimo film di Daniele Gaglianone. Epoche diverse, storie diverse, diversi destini. A unirli, uno stesso sguardo di cineasta. Tenero, discreto, inesorabile.

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sabato 5 febbraio 2011

ANOTHER YEAR di Mike Leigh, 2010


Il cinema di Mike Leigh è soprattutto un cinema di attori. La messinscena e gli ambienti sono lo sfondo - anch'esso significante, ma pur sempre sfondo - sul quale il regista proietta ciò che più gli interessa, ovvero i personaggi. Fondamentale in tutti i suoi film sono dunque i dialoghi e la recitazione. In Another Year essi appaiono più controllati e misurati che in altri suoi film, (Naked, Segreti e bugie) e forse anche per questo il ritratto della famiglia middle class realizzato in questo ottimo film risulta più crudele di quanto ci si potesse attendere. Ma non bisogna farsi trarre in inganno dalle frasi pubblicitarie per il lancio del film, oltre che dalle recensioni dei quotidiani. Perchè di leggerezza e buoni sentimenti in Another Year non ve n'è nemmeno l'ombra.

Tom e Gerri sono una coppia di sessantenni che vive felice una vita agiata e armoniosa. Lei è psicologa, lui geologo. Hanno un figlio, Joe, che fa l'avvocato, e che pare essere l'unico cruccio della coppia, l'unica tessera fuori posto di un mosaico altrimenti perfetto. Per un pò di tempo ci si chiede quale possa essere il problema del figlio, quale l'ipotetica scomoda o dolorosa verità. Joe viene infatti spesso evocato dai vari personaggi, ma non si vede mai, e la sua assenza aumenta la curiosità. Succede però a metà film
che anche questa nota apparentemente stonata finalmente si accordi con tutto il resto. Tutto procede per il meglio, e la partitura ora è davvero completa, il disegno perfetto.
Cosa può dunque succedere, a questo punto, dentro a questa storia? In questo tipo di film in genere accade che un evento traumatico (un incidente, una malattia) giunga all'improvviso a spezzare l'equilibrio raggiunto, provocando una serie di altri eventi coi quali i protagonisti saranno costretti a confrontarsi e a rivelarsi nelle loro forze e debolezze, miserie e virtù. Non è questo il caso. Più verosimilmente, in questa storia i traumi arrivano, ma colpiscono gli altri , tutti coloro che per quanto vicini alla famiglia, non ne fanno parte. Se ancora lo spettatore avesse dei dubbi sui valori morali che esprimono i due coniugi, da questo momento la coppia-modello scopre le carte, e comincia a mostrarsi per quello che realmente rappresenta. Intanto, i pochi amici che frequentavano la bella casa di Tom e Gerri non si vedono più,
definitivamente sostituiti dal figlio e dalla sua fidanzata; la collega di Gerri (in realtà una modesta segretaria), Mary, sola e alcolizzata, un tempo presenza fissa nella vita dei coniugi, è quella che subisce il colpo più duro. In maniera improvvisa e definitiva Mary viene esclusa dal felice quadretto, in quanto colpevole di avere accolto con ostilità l'ingresso in famiglia di Katie, la fidanzata di Joe, dal quale Mary è evidentemente e morbosamente attratta. Sono i momenti in cui appare evidente che Tom e Gerri (tra parentesi, sublime l'ironia nella scelta di questi due nomi) non abbiano altro da offrire agli altri che la riproduzione di loro stessi in identica forma, compresa la loro presunta felicità, superficiale come i rapporti che essi instaurano con il prossimo.

Fondamentalmente, Tom e Gerri sono incapaci di dare alcunchè. La profondità dei sentimenti e delle passioni, soprattutto il dolore e la sofferenza gli devono apparire come una minaccia, e anche i momenti in cui la coppia può sembrare generosa, alla luce dello sviluppo della narrazione si riveleranno come comportamenti puramente formali, o utili al mantenimento di rapporti basati sulla convenienza. A inizio film, Gerri chiede a Mary di sbrigarle alcune pratiche. Mary accetta di buon grado, con trasparente amicizia, nonostante la sua scrivania sia stracolma di carte. Già qui un occhio attento può cogliere la distanza fra le due donne, attraverso lo sguardo distaccato che la psicologa rivolge alla "povera" segretaria. Quando alla fine del film Mary, ormai disperata, implora la presunta amica, Gerri le nega l'affetto di cui avrebbe bisogno e le consiglia di andare in cura da un suo collega, ancora uno psicologo. Ma è solo un esempio. Sono tanti infatti i piccoli segnali inequivocabili che Mike Leigh dissemina lungo il film e che sottolineano l'aridità del cuore nei confronti di ciò che è esterno o non funzionale alla sopravvivenza del microcosmo famigliare.
Per fare ancora un esempio, quando la domenica (ogni domenica dell'anno), i coniugi vanno a curare il loro orto in campagna, le ombre sfocate di altre persone degli orti vicini ogni tanto compaiono nell'inquadratura. Eppure mai un saluto, un cenno, una parola viene rivolta a costoro, e viceversa. Ognuno per sè, ognuno chiuso nel suo mondo, ognuno letteralmente ripiegato nella cura del suo orticello, vera metafora del film.

Si arriva dunque al finale, il momento più politicamente esplicito. La sensazione che in
Another Year vi fosse anche un discorso che avesse a che fare con la suddivisione in classi sociali della società, aleggiava per tutto il film, ma pareva essere più che altro uno fra i sottotesti, e comunque velato. Nella cena conclusiva, invece, tutto appare chiaro: Tom e Gerri, Joe e Katie cenano un'ultima volta con Mary e con Ronnie, il fratello di Tom, appena rimasto vedovo e ai limiti dell'indigenza. L'argomento della discussione a tavola, dato il contesto, è straniante: si parla di viaggi in giro per il mondo, di Australia, di vacanze a Parigi, e infine di soldi. L'ostentazione del denaro e delle possibilità che esso offre mostrano definitivamente la crudeltà di un modello e di uno stile di vita che per reggersi non può che ignorare l'altro, e in fondo, provare disprezzo per chi soffre o è in difficoltà. Solitudine, insuccesso, sofferenza, miseria sono una colpa.
Il quadro non può essere macchiato, l'armonia non deve essere spezzata, e tutto ciò deve essere affermato nel modo più spietato possibile: cadono i filtri, l'ipocrisia si palesa, l'esclusione diviene assoluta.



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