Poichè consideriamo eccezionali i film di Ciprì e Maresco, abbiamo deciso di riprendere un appello che da qualche giorno sta circolando in rete. Invitiamo a firmarlo, e soprattutto invitiamo tutti coloro che non hanno mai visto un lungometraggio dei due autori siciliani, a colmare la lacuna.
Intanto, ecco i primi minuti del film
E questo è l'appello:
Signor Aurelio De Laurentiis, nel 1995 la Filmauro, società da Lei diretta, si occupò della distribuzione del primo lungometraggio di Daniele Ciprì e Franco Maresco, Lo Zio di Brooklyn, acquistandone in seguito la proprietà da Galliano Juso. Il film non lasciò certo indifferenti: fece discutere e divise la critica e il pubblico italiano, come avvenne tre anni dopo con la seconda opera dei due autori palermitani, Totò che visse due volte. La Sua società si occupò anche della distribuzione home-video del film, dimenticando però di mettere i sottotitoli (com’era avvenuto per le sale) e impedendo così di fatto la possibilità di una fruizione estesa dell’opera. A sedici anni di distanza dall’uscita de Lo Zio di Brooklyn non è oggi possibile reperire il film per l’acquisto o il noleggio, né si ha notizia di progetti di restauro della pellicola, qualora necessario. Siamo a conoscenza del concreto e coraggioso interesse di un distributore francese per ridare vita al film anche fuori dai nostri confini: ma di fatto, dopo un anno, l’accordo non si è ancora concluso a causa dell’inspiegabile e prolungato silenzio della Filmauro. Questa situazione non è più accettabile e dunque le chiediamo pubblicamente di liberare il film dall’oblio forzato in cui è stato relegato, offrendo la possibilità di vederlo (o rivederlo) a chiunque. Non si tratta certo di un “recupero” da cui attendersi grandi riconoscimenti commerciali, ma crediamo che la restituzione del film al suo luogo naturale, la pubblica fruizione, possa dare un contributo importante a una maggiore conoscenza del cinema italiano anche in altri paesi del mondo. Già Totò che visse due volte, presentato nel 2009 in Francia, ebbe un ottimo riscontro da parte della critica essendo definito da Libération “l’un des meilleurs films de la décennie”. Alla luce di questa precedente positiva esperienza, crediamo giusto e opportuno che Lei ponga rimedio allo stato di abbandono in cui Lo zio di Brooklyn è stato confinato. Le chiediamo, pertanto, di rendere possibile ancora, dopo tanti anni, la visione del film di Ciprì e Maresco a tutti gli appassionati di cinema, in Italia e altrove.
Aderisci inviando il tuo nome e cognome a ilritornodeloziodibrooklyn@gmail.com
p.s. 2012: alla fine, non sappiamo se anche grazie all'appello, il dvd è stato pubblicato dalla Filmauro, in una versione restaurata e ricca di extra. Assolutamente da avere.
Il colloquio dalla psicologa di Antoin Doinel ne I 400 colpi di Francois Truffaut e il monologo - confessione di Pietro nell'omonimo film di Daniele Gaglianone. Epoche diverse, storie diverse, diversi destini. A unirli, uno stesso sguardo di cineasta. Tenero, discreto, inesorabile.
Il cinema di Mike Leigh è soprattutto un cinema di attori. La messinscena e gli ambienti sono lo sfondo - anch'esso significante, ma pur sempre sfondo - sul quale il regista proietta ciò che più gli interessa, ovvero i personaggi. Fondamentale in tutti i suoi film sono dunque i dialoghi e la recitazione. In Another Year essi appaiono più controllati e misurati che in altri suoi film, (Naked, Segreti e bugie) e forse anche per questo il ritratto della famiglia middle classrealizzato in questo ottimo film risulta più crudele di quanto ci si potesse attendere. Ma non bisogna farsi trarre in inganno dalle frasi pubblicitarie per il lancio del film, oltre che dalle recensioni dei quotidiani. Perchè di leggerezza e buoni sentimenti in Another Year non ve n'è nemmeno l'ombra. Tom e Gerri sono una coppia di sessantenni che vive felice una vita agiata e armoniosa. Lei è psicologa, lui geologo. Hanno un figlio, Joe, che fa l'avvocato, e che pare essere l'unico cruccio della coppia, l'unica tessera fuori posto di un mosaico altrimenti perfetto. Per un pò di tempo ci si chiede quale possa essere il problema del figlio, quale l'ipotetica scomoda o dolorosa verità. Joe viene infatti spesso evocato dai vari personaggi, ma non si vede mai, e la sua assenza aumenta la curiosità. Succede però a metà film che anche questa nota apparentemente stonata finalmente si accordi con tutto il resto. Tutto procede per il meglio, e la partitura ora è davvero completa, il disegno perfetto. Cosa può dunque succedere, a questo punto, dentro a questa storia? In questo tipo di film in genere accade che un evento traumatico (un incidente, una malattia) giunga all'improvviso a spezzare l'equilibrio raggiunto, provocando una serie di altri eventi coi quali i protagonisti saranno costretti a confrontarsi e a rivelarsi nelle loro forze e debolezze, miserie e virtù. Non è questo il caso. Più verosimilmente, in questa storia i traumi arrivano, ma colpiscono gli altri , tutti coloro che per quanto vicini alla famiglia, non ne fanno parte. Se ancora lo spettatore avesse dei dubbi sui valori morali che esprimono i due coniugi, da questo momento la coppia-modello scopre le carte, e comincia a mostrarsi per quello che realmente rappresenta. Intanto, i pochi amici che frequentavano la bella casa di Tom e Gerri non si vedono più, definitivamente sostituiti dal figlio e dalla sua fidanzata; la collega di Gerri (in realtà una modesta segretaria), Mary, sola e alcolizzata, un tempo presenza fissa nella vita dei coniugi, è quella che subisce il colpo più duro. In maniera improvvisa e definitiva Mary viene esclusa dal felice quadretto, in quanto colpevole di avere accolto con ostilità l'ingresso in famiglia di Katie, la fidanzata di Joe, dal quale Mary è evidentemente e morbosamente attratta. Sono i momenti in cui appare evidente che Tom e Gerri (tra parentesi, sublime l'ironia nella scelta di questi due nomi) non abbiano altro da offrire agli altri che la riproduzione di loro stessi in identica forma, compresa la loro presunta felicità, superficiale come i rapporti che essi instaurano con il prossimo.
Fondamentalmente, Tom e Gerri sono incapaci di dare alcunchè. La profondità dei sentimenti e delle passioni, soprattutto il dolore e la sofferenza gli devono apparire come una minaccia, e anche i momenti in cui la coppia può sembrare generosa, alla luce dello sviluppo della narrazione si riveleranno come comportamenti puramente formali, o utili al mantenimento di rapporti basati sulla convenienza. A inizio film, Gerri chiede a Mary di sbrigarle alcune pratiche. Mary accetta di buon grado, con trasparente amicizia, nonostante la sua scrivania sia stracolma di carte. Già qui un occhio attento può cogliere la distanza fra le due donne, attraverso lo sguardo distaccato che la psicologa rivolge alla "povera" segretaria. Quando alla fine del film Mary, ormai disperata, implora la presunta amica, Gerri le nega l'affetto di cui avrebbe bisogno e le consiglia di andare in cura da un suo collega, ancora uno psicologo. Ma è solo un esempio. Sono tanti infatti i piccoli segnali inequivocabili che Mike Leigh dissemina lungo il film e che sottolineano l'aridità del cuore nei confronti di ciò che è esterno o non funzionale alla sopravvivenza del microcosmo famigliare. Per fare ancora un esempio, quando la domenica (ogni domenica dell'anno), i coniugi vanno a curare il loro orto in campagna, le ombre sfocate di altre persone degli orti vicini ogni tanto compaiono nell'inquadratura. Eppure mai un saluto, un cenno, una parola viene rivolta a costoro, e viceversa. Ognuno per sè, ognuno chiuso nel suo mondo, ognuno letteralmente ripiegato nella cura del suo orticello, vera metafora del film. Si arriva dunque al finale, il momento più politicamente esplicito. La sensazione che in Another Year vi fosse anche un discorso che avesse a che fare con la suddivisione in classi sociali della società, aleggiava per tutto il film, ma pareva essere più che altro uno fra i sottotesti, e comunque velato. Nella cena conclusiva, invece, tutto appare chiaro: Tom e Gerri, Joe e Katie cenano un'ultima volta con Mary e con Ronnie, il fratello di Tom, appena rimasto vedovo e ai limiti dell'indigenza. L'argomento della discussione a tavola, dato il contesto, è straniante: si parla di viaggi in giro per il mondo, di Australia, di vacanze a Parigi, e infine di soldi. L'ostentazione del denaro e delle possibilità che esso offre mostrano definitivamente la crudeltà di un modello e di uno stile di vita che per reggersi non può che ignorare l'altro, e in fondo, provare disprezzo per chi soffre o è in difficoltà. Solitudine, insuccesso, sofferenza, miseria sono una colpa. Il quadro non può essere macchiato, l'armonia non deve essere spezzata, e tutto ciò deve essere affermato nel modo più spietato possibile: cadono i filtri, l'ipocrisia si palesa, l'esclusione diviene assoluta.
In attesa che un dì riprendano le proiezioni del cineforum (chissà), una volta tanto ho deciso di fare una cosa non consueta per il Kinoglaz: un elenco dei migliori film usciti al cinema in Italia nell'anno appena trascorso, il 2010. Le classifiche lasciano il tempo che trovano, ma molto dipende anche da chi le fa. Quelle che uscivano sui Cahiers du Cinéma, per esempio, non le ho mai trovate inutili. Così come leggere gli elenchi dei film preferiti fatti da registi o critici che ritengo importanti mi ha sempre emozionato e incuriosito. Questa volta ci prova il sottoscritto. Prima di cominciare, una precisazione. Tra i film che mi sono perso, figurano alcuni titoli che, conoscendomi, penso potrebbero modificare l'attuale top ten. Mi riferisco in particolare a Noi credevamo di Mario Martone, La pecora nera di Ascanio Celestini e Uomini di Dio di Xavier Beauvois. Se sarà il caso, in futuro aggiornerò la classifica.
Cosmo Vitelli
10. A single man di Tom Ford.
Elegante nello stile e nella confezione, abbastanza coraggioso per come affronta il tema del film (l'amore, e non solo omosessuale... ) merita la visione per l'ottima interpretazione di tutti gli attori, compreso ovviamente il notevole Colin Firth.
9. Il profeta di Jacques Audiard
Non è il capolavoro che ci dicono sia, ma resta un ottimo film di ambientazione carceraria, con risvolti sociali abbastanza marcati, e una tesi di fondo di cui quantomeno è possibile discutere.
8. Amabili resti di Peter Jackson
In una cittadina della Pennsylvania abita un serial killer che uccide le bambine. A raccontarci la storia, direttamente dall'aldilà, è una delle vittime dell'assassino, una ragazzina di 14 anni, che in realtà vive una realtà sospesa fra questo e l'altro mondo. Ecco, è il limbo immaginato da Jackson ciò che, penso, più interessava il regista. Per quanto mi riguarda, le sue immagini "inventate" sono più interessanti di quelle di Tim Burton o Kusturica. E questa storia è più conturbante di quelle di molti horror e fantasy contemporanei.
7. My Son, My Son, What Have Ye Done di Werner Herzog
Prodotto da David Lynch (e si vede assai... ), un film che non ti aspetti, imperfetto, ambizioso e straniante. Herzog forse a volte eccede con i rimandi alla tragedia classica, a volte con l'inverosimiglianza. Ma in alcuni momenti è capace di farci barcollare, creando sottili inquietudini. Come sempre in Herzog, la Natura lascia il segno.
6. Bright Star di Jane Campion
Un film in costume senza sfarzo, spoglio e freddo, sull'amore fra la giovane Fanny e il poeta romantico John Keats, morto a 25 anni di tubercolosi. Chi si aspettava il classico polpettone sentimentale probabilmente sarà rimasto deluso dal film della Campion, che invece ha optato per una recitazione naturalistica e una messinscena oserei dire materialista, capace di rimuovere l'alone di leggenda e maledettismo che avvolge la drammatica vicenda raccontata.
5. Shutter Island di Martin Scorsese
Ora che ha finalmente vinto il tanto agognato Oscar (nel 2006 con The Departed) Scorsese probabilmente si sente più libero di girare film senza l'ossessione di dover ogni volta competere per la statuetta. Shutter Island rimanda ai b-movies americani degli anni 50, quei piccoli grandi film che hanno fatto e tuttora fanno la gioia dei cinefili di ogni paese. Certo, qui c'è di Caprio e non Dana Andrews, ma lo spirito è quello dei noir di Fritz Lang o Otto Preminger. E allora Shutter Island probabilmente un giorno lo ricorderemo come oggi si ricordano L'alibi era perfetto, Il bandito senza nome o Un angelo è caduto.
4. La bocca del lupo di Pietro Marcello
Un documentario commovente e insolito, ambientato a Genova, sulla storia della relazione fra un uomo e un transessuale. Molto bello l'utilizzo dei filmati di repertorio della Genova e della Liguria del Novecento, e soprattutto il montaggio di tali filmati con il girato contemporaneo. Non penso di sbagliare se affermo che l'influenza di Godard su Pietro Marcello sia stata decisiva. Sicuramente maggiore di quella di Fassbinder, spesso citato come modello.
3. L'uomo nell'ombra di Roman Polanski
Un film come non se ne fanno più, testimone oggi insieme a pochissimi altri titoli di una classicità destinata a scomparire. Il percorso cinematografico di Polanski, da un certo punto di vista, è in realtà a ritroso (un pò come fu quello di Truffaut). Ma è altrettanto vero che con la vecchiaia (pensiamo all'eccellente Il pianista) Polanski ha conseguito un equilibrio stilistico degno dei suoi comunque inarrivabili maestri. La sequenza finale del passaggio del biglietto di mano in mano non è solo una scena "alla Hitchcock". Essa appare piuttosto come un traguardo raggiunto.
2. Lourdes di Jessica Hausner
Sebbene sia piaciuto sia ai cattolici che agli atei (vedi i premi ricevuti), Lourdes resta un film notevole. Il rigore della regia compensa il prevedibile sviluppo narrativo, e lo stile molto "est-europa" e "autoriale" per una volta risulta essere funzionale al racconto e non solo di maniera. Inoltre, la regista austriaca non mi pare una "furbetta" a cui piaccia giocare con i sentimenti e le idee dello spettatore (alla Von Trier o Aronofski, per intenderci). Bellissima la "festa" finale, con una serie di canzoni italiane di successo internazionale, e fantastica la barzelletta che i preti si raccontano in albergo.
N.B. Per evitare di irritare chi non ha ancora visto Lourdes, ho scelto di non inserire il trailer del film. Troppe cose vi vengono svelate.
1. Pietro di Daniele Gaglianone
Forse non è il più bello dei film del 2010, ma sicuramente è il più necessario. Perchè non concede nulla, perchè è il più coraggioroso, perchè è torinese, perchè non è perfetto, perchè Pietro Casella è un grande attore, perchè non piace agli alternativi, perchè è autogestito, perchè è marginale ma non gode di esserlo. Perchè spero non passino altri 7 anni prima di vedere un nuovo film di Daniele Gaglianone.
Il Kinoglaz cineforum torna dopo una lunga inattività forzata a scrivere sul blog. Approfittiamo quindi di questo post per scursarci del lungo silenzio e per salutare tutti i lettori, che per mesi hanno atteso invano nostre notizie. Si parte con una novità. Questo inverno abbiamo infatti deciso di abbandonare momentaneamente le proiezioni del mercoledi per lasciare spazio ad un progetto indipendente come quello del Cinematografo Poverania:
Il cinematografo Poverania è nato a Roma ed è alla sua quarta edizione. E’ un cineforum che dà spazio ai film e alle produzioni indipendenti che altrimenti non si vedrebbero proiettate da alcuna altra parte. Da questa estate il Poverania è sbarcato a Venezia, e a breve partirà un’edizione a Milano e una a Padova. Il cinematografo Poverania ha trovato spazio nella città di Torino al centro sociale Askatasuna, in collaborazione con il Kinoglaz cineforum
Domenica 31 ottobre 2010 e domenica 7 novembre si sono tenute la prime due proiezioni del cinematografo Poverania, con i film L’invasione degli Astronazi di Alberto Genovese Ai confini della fandonia di Dagoberto Brasile. Questa domenica 14 novembre, alle ore 21, al centro sociale Askatasuna verrà presentato il film The Hunt di Andrea Iannone:
Nel cuore di Roma, il malvagio Aldous tiene prigioniero un mostro in cantina. Ma un giorno, la bestia, riesce a scappare dalle grinfie del carceriere. Inizia la caccia che dà il titolo al film e che vede coinvolti lo stesso Aldous, il vendicativo cacciatore di mostri Markus e un detective americano di nome Mitchell che indaga su alcuni orribili delitti. Un horror/splatter low budget, ironico e appassionato, firmato da un giovanissimo filmaker romano (classe 1988), quì al suo esordio nel lungometraggio. Il film è in lingua inglese, sottotitolato in italiano.
A seguire e curare le proiezioni Massimo Russo, regista di Torino Nera, film di culto della scena indipendente no-budget torinese.
Godard diceva che Chabrol (come Truffaut) a un certo punto ha cominciato a fare film uguali a quelli che un tempo odiava. E' vero, eppure ora che se ne è andato, sappiamo che ci mancherà moltissimo. Di seguito, una selezione di clip di alcuni dei nostri Chabrol preferiti.
Con Terra in trance di GLauber Rocha si è chiusa la stagione 2009/2010 del Kinoglaz cineforum. Era in programmazione ancora una serata, quella di chiusura, con la presenza di alcuni ospiti, che abbiamo dovuto rimandare per cause di forza maggiore. Le proiezioni riprenderanno a settembre 2010.
Il Kinoglaz cineforum prosegue anche nel mese di giugno. Questo mercoledì verrà proiettato il film di Glauber Rocha del 1966 Terra in trance. Girato un anno dopo il golpe militare del 1964 in Brasile, Terra in trance continua a stupire per l'energia con la quale è stato girato, per il suo stile libero e apparentemente caotico, per gli omaggi dichiarati alla nouvelle vague francese, al cinema di ricerca, ai film di Ejzenstejn. Chi non avesse mai visto un film di Glauber Rocha con Terra in trance potrà farsi un'idea piuttosto chiara di un cinema che all'epoca provocava anche furiosi dibattiti e scontri, che poteva essere amato o odiato, intensamente, ma che certamente non lasciava indifferenti. Un cinema che ha sempre voluto essere contro Hollywood e in lotta contro l'imperialismo culturale dell'occidente, e che per questo, non ha potuto che uscire sconfitto dalla battaglia.
Il film verrà proiettato in lingua originale sottotitolata in italiano. Si comincia alle 21.30 al centro sociale Askatasuna. L'ingresso è libero.