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sabato 24 gennaio 2009

"LASCIAMI ENTRARE" di Tomas Alfredson, 2008

Secondo la stragrande maggioranza dei critici cinematografici italiani (e non solo), Lasciami entrare è un bellissimo film. Per il quotidiano "Liberazione" Lasciami entrare è addirittura "il miglior film dell'anno". Per noi del Kinoglaz Cineforum, invece (e ci spiace dirlo), Lasciami entrare risulta essere, alla fine, null'altro che il tipico film "medio", quello che scivola senza lasciare tracce, noioso ma non troppo, "d'autore" ma digeribile, "contro" ma conciliante (con lo spettatore). Il classico prodotto indicato per i frequentatori delle platee dei festival.

Lasciami entrare è un film sui vampiri ma non è un horror, è una storia d'amore ma non è un melodramma, è commerciale ma di nicchia.

Saremo forse insensibili rispetto a certe corde, ma non abbiamo assolutamente trovato il film commovente (come invece hanno scritto in tantissimi), tanto meno emozionante. Anzi, per certi versi lo abbiamo trovato persino fastidioso. Questo perchè diffidiamo delle love stories che tendono all'assoluto, diffidiamo dell'amore trascendente, del sentimento puro (ovvero, senza sesso), che non conosce limiti e che noi, esseri imperfetti, non pratichiamo.
Eppure Lasciami entrare parte bene: il buio, la neve, una voce off, due passeggeri su un taxi, un palazzo popolare, un bambino alla finestra: è l'arrivo del vampiro.
Il giorno dopo, la scuola, il bambino di spalle, un poliziotto stupido fa una domanda, il bambino risponde. Poi, su una panchina, due bambini lottano. Vediamo solo le loro gambe: entra in scena il cattivo.


Da qui in avanti, il film procede sulla falsariga dell'incipit, con distacco e freddezza, ma senza scosse (a meno che qualcuno si emozioni per dialoghi tipo: "Ho 12 anni, ma da un sacco di tempo"). Aspettiamo invano il cambio di marcia, lo scarto, il momento in cui - come scriveva Serge Daney - sia permesso a noi spettatori di "entrare" nel film.
Noi, spettatori, dobbiamo restare fuori. Dentro, resteremmo delusi. Delusi perchè un regista svedese che cita Persona alla quarta inquadratura, se "gioca" con lo spettatore, o ha in mano almeno un poker, oppure sta bluffando. Inutile dire che propendiamo per la seconda ipotesi.



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martedì 13 gennaio 2009

Colonies



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martedì 6 gennaio 2009

"QUEL MALEDETTO TRENO BLINDATO" di Enzo G. Castellari, 1978

Giochiamo d'anticipo e spendiamo due parole sul film di cui questa estate uscirà una specie di remake-omaggio ad opera di Quentin Tarantino. Quel maledetto treno blindato (Inglorious bastards negli Usa) è un film di guerra, più o meno ispirato a Quella sporca dozzina di Robert Aldrich e diretto da Enzo G. Castellari, autore di uno dei maggiori successi italiani degli anni settanta, Il cittadino si ribella, girato sulla scia del successo de Il giustiziere della notte. Come regista a Castellari viene riconosciuta una notevole abilità nelle scene di azione, la capacità di utilizzare il montaggio senza costringersi dentro a regole e schemi precostituiti, un uso personale del rallenti. Tuttavia, anche prendendo per validi questi riconoscimenti, Quel maledetto treno blindato resta un pessimo film, pasticciato, involontariamente parodico e spesso imbarazzante, praticamente sotto ogni punto di vista: sceneggiatura, dialoghi, recitazione, scenografia, inquadrature ecc.
Lo scriviamo ora perchè siamo certi che, come al solito, fra non molto in tanti ci spiegheranno che tutti i difetti del film sono in realtà dei pregi, che i pasticci e il caos narrativo in verità restituiscono la libertà creativa e l'atmosfera che si respirava sul set, di cui usciranno aneddoti, ricordi di battute divertenti, di scene girate e poi tagliate e via discorrendo.
Diciamola tutta, ci stiamo un pò stufando di queste continue rivalutazioni dei prodotti cinematografici nostrani, anche i più infimi. Non si riesce più a capire cosa è bello e cosa non lo è, o lo è meno. Ecco che allora, in mezzo alla sempre più fitta e inestricabile selva di cult movies da riscoprire, ci preme fare sapere che per noi Quel maledetto treno blindato è uno di quei film che può anche essere dimenticato.

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sabato 3 gennaio 2009

Landscapes








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venerdì 2 gennaio 2009

LA TELEVISIONE E' TUTTO CIO' CHE ESISTE DI REALISTA



[...] La televisione viene guardata perchè è tutto ciò che esiste di realista; dice la verità e informa in modo assoluto, è l'inquinamento vero del nostro ossigeno mentale. Non ci si ribella contro la televisione più di quanto non si smetta di respirare in nome dell'ecologia. Ma con una piccola differenza, tuttavia: l'unico mondo di cui essa non cessa di darci notizie (altrettanto precise e sovreccitate del listino di borsa o della hit parade) è il mondo visto dal potere (come si dice "la Terra vista dalla Luna"). E' questa la sua unica realtà. Come potremmo sapere, senza di lei, chi ha potere e chi no? Chi vale quanto e chi non vale nulla? Se il potere che gli uomini esercitano gli uni sugli altri si trova sempre al punto d'incontro tra l'economico e il sacro, la televisione è una quotazione in borsa generalizzata divenuta liturgia (anch'essa quotata). E' per questo che la guardiamo, perchè su questo, almeno, ci informa. Su questo, sì, ma su niente altro; sulla borsa, sì, ma non sulla vita. E' per questo che, comunque, non la rispettiamo.

Montaggio obbligato.
La guerra, il Golfo e il piccolo schermo
aprile 1991

Serge Daney, Cinema televisione informazione, e/o, 1999





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giovedì 1 gennaio 2009

Foto da "JOHNNY GUITAR" di Nicholas Ray, 1954















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