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giovedì 30 maggio 2002

Presentazione "La società dello spettacolo"

LA SOCIETA’ DELLO SPETTACOLO

(Fra 1973, b/n e col)

R.: Guy Debord

Che cosa è lo spettacolo

Lo spettacolo non canta gli uomini e le loro armi ma le merci e le loro passioni/Lo spettacolo è il denaro che si guarda soltanto/…lo spettatore non si trova a casa propria da nessuna parte, perché lo spettacolo è dappertutto/Lo spettacolo è il cattivo sogno della società moderna incatenata, che non esprime in definitiva se non il suo desiderio di dormire. Lo spettacolo è il guardiano di questo sonno/Nello spettacolo una parte del mondo si rappresenta davanti al mondo, e gli è superiore. Lo spettacolo non è che il linguaggio comune di questa separazione/Lo spettacolo non è un insieme di immagini, ma un rapporto sociale tra individui, mediato da immagini/Lo spettacolo è una guerra dell’oppio permanente per far accettare l’identificazione dei beni alle merci/Lo spettacolo è il momento in cui la merce è pervenuta all’occupazione totale della vita sociale. Non solo il rapporto con la merce è visibile, ma non si vede più che quello: il mondo che si vede è il suo mondo/Il mondo contemporaneamente presente e assente che lo spettacolo fa vedere è il mondo della merce dominante su tutto ciò che è vissuto/ Lo spettacolo non vuole riuscire a nient’altro che a se stesso/Lo spettacolo è il capitale a un tal grado di accumulazione da divenire immagine/

Che cosa è lo spettacolare

Là dove domina lo spettacolare concentrato domina anche la polizia/E’ l’unità della miseria che si nasconde dietro le opposizioni spettacolari/Le false lotte spettacolari delle forme rivali del potere separato sono nello stesso tempo reali, in quanto traducono lo sviluppo ineguale e conflittuale del sistema, gli interessi relativamente contraddittori delle classi o delle frazioni di classi che riconoscono il sistema, e definiscono la loro partecipazione al suo potere/La società che riposa sull’industria moderna non è fortuitamente o superficialmente spettacolare, è fondamentalmente spettacolista. Nello spettacolo, immagine dell’economia imperante, il fine non è niente, lo sviluppo è tutto/

Che cosa è la società dello spettacolo

La coscienza del desiderio e il desiderio della coscienza sono parimenti in quest’unico progetto che, nella sua forma negativa, vuole l’abolizione delle classi, vale a dire il controllo diretto dei lavoratori su tutti i momenti della loro attività. Il suo contrario è la società dello spettacolo, dove la merce contempla se stessa in un mondo da essa creato/

Frammenti de La società dello spettacolo (1967) di Guy Debord

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Manifesto "La società dello spettacolo"

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mercoledì 29 maggio 2002

Presentazione "Mani in alto"

MANI IN ALTO

Rece do góry

(seconda versione, 1981)

Regia: Jerzy Skolimowski; Sceneggiatura: Jerzy Skolimowski, Andrzej Kostenko; Fotografia: Witold Sobocínski, Andrzej Kostenko; Montaggio: Z. Piórecki, G. Jasińska, K. Rutkowska, J. Ignatcenko; Musica: K. Penderecki, K. Komeda; Produzione: Gruppo «Syrena», Polonia, 1981

Interpreti: Jerzy Skolimowski (Andrzej Leszczyc, «Zastawa», se stesso nel prologo); Joanna Szczerbic («Alfa»); Adam Hanuszkiewicz («Romeo»); Bogumil Kobiela («Wartburg»); Tadeusz Lomnicki («Opel Rekord»).

Per cominciare, è doverosa una premessa sulle vicissitudini che hanno segnato il percorso di questo film. A due settimane dalla presentazione ufficiale al festival di Venezia del 1967 (dove il film partiva favorito per il Leone d’oro) Mani in alto venne proibito dalle autorità polacche, e ritirato dal concorso. Solo quattordici anni più tardi, nel 1981, il film fu liberato dalla censura e potè quindi finalmente essere visto. Skolimowski, per l’occasione, oltre ad aggiungere un prologo girato nella sua casa di Londra e a Beirut, decise di rimontare il film, di tagliarne alcune sequenze e di effettuare un viraggio a seppia della pellicola. Dopo una tiepida accoglienza al festival di Danzica (Skolimowski sperava in un sostegno politico da parte di Solidarnosc, che invece gli fu negato), il film venne presentato in un cinema di Varsavia, dove però rimase in cartellone solo un giorno. I carri armati sovietici erano infatti appena entrati in città, ragion per cui Mani in alto fu nuovamente ritirato dalla circolazione e mai più distribuito.

Cinque amici (quattro uomini e una donna), dopo una festa, salgono su un treno merci, diretti non si sa bene dove. Il viaggio è l’occasione per un tirare un bilancio della vita di ciascuno di essi, e più in generale del rapporto di una generazione con il proprio passato. Questa, in sintesi, la trama del film. Skolimowski, che non si è mai trovato a proprio agio con le narrazioni tradizionali, anche in questo caso dà libero sfogo a una creatività impulsiva unica nel suo genere, personalissima e affascinante. Mani in alto avanza per invenzioni plastiche e visive sorprendenti, dando continuamente la sensazione allo spettatore di essere di fronte a un’opera che utilizza il mezzo cinema con una libertà che nulla ha a che vedere con il vezzo narcisistico del discorso metacinematografico. Un film “innocente”, che è costato al suo autore l’esilio dalla propria terra ed una carriera, da allora, sempre in salita.

p.s. La proiezione non si potè tenere per cause di forza maggiore, e non riuscimmo a recuperarla.

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Manifesto "Mani in alto"

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mercoledì 15 maggio 2002

Presentazione "Fortini/Cani"

FORTINI/CANI di Jean-Marie Straub e Daniéle Huillet

Franco Fortini scrisse le sue pagine nel 1967, quando, nei primi giorni di giugno, le truppe israeliane e quelle egiziane si scontrarono nel deserto del Sinai. I mezzi di informazione occidentali diedero una versione dei fatti totalmente falsa, sostenendo che fossero stati gli arabi ad aver aggredito Israele. Molti paesi, fra i quali l’Italia, espressero solidarietà e appoggiarono Israele, rendendosi immediatamente complici della politica espansionistica del governo di questo paese, avamposto dell’imperialismo occidentale.

Fortini scrive queste pagine contro quanti si sono precipitati in soccorso dei padroni e dei vincitori, sostenitori di Israele che egli definisce cani del Sinai. “La guerra di Israele scatenava nei nuovi, nei recenti piccolo borghesi italiani, la volontà di essere dalla parte buona, di liberarsi dalla colpa fascista, di scaricare sull’Arabo l’odio accumulato contro la generazione dei padri…”
Sin dall’inizio, l’atteggiamento filoisraeliano è servito alle coscienze europee per ripulirsi dal ricordo dei Lager, per riconciliarsi con la memoria e con la storia. Ancora oggi, per farsi perdonare d’aver perpetuato, collaborato o assistito inerme allo sterminio di un popolo, l’Occidente legittima l’occupazione, lo sfruttamento e la morte della Palestina attuata da Israele.

Straub-Huillet chiedono a Fortini autore di farsi lettore e attore del suo testo. Mettendolo a confronto con le sue pagine scritte, lo invitano a riflettere sugli eventi passati per comprenderne il contraccolpo attuale. Fortini è condotto dai due cineasti a ripensare a quel se stesso che ha scritto e che già nel suo testo ha affrontato le umiliazioni subite un tempo nell’Italia fascista, il disprezzo diffuso verso l’arabo, l’esaltazione della civiltà occidentale che Israele incarna e promuove in terra barbara.
Straub-Huillet pongono il problema dell’oggi e di un tempo, del passato e del presente che devono incontrarsi per la costruzione del futuro e dell’utopia, il comunismo per i due cineasti. Il passato non va ritrovato per essere semplicemente assunto, ma va osservato alla luce di ciò che accade oggi. Come Fortini, Straub-Huillet non operano una valorizzazione della memoria in sé, poiché essa ha valore nel momento in cui viene rielaborata e utilizzata come strumento dell’agire contemporaneo. La Storia si traduce in azione di resistenza – dell’uomo, delle cose, dei luoghi - e in traccia che ha resistito. Essi ri-tracciano e rintracciano la Storia perché essa possa continuare a vivere, a essere vissuta e a sostenere l’uomo nella sua lotta di liberazione del mondo.
Il confronto con il passato si concretizza nella ricerca meticolosa delle tracce, di ciò che ha resistito ed è rimasto nonostante tutto. I luoghi sono i testimoni viventi di eventi passati, spazi che hanno resistito e che portano con sé memoria di ciò che è accaduto. Le Alpi Apuane, su cui insistono le panoramiche Straub-Huillet, nascondono e conservano la traccia di ciò che è stato, sono il luogo dove antifascisti e partigiani sono stati uccisi per aver lottato. I movimenti delle panoramiche scavano la terra e fanno riaffiorare i morti seppelliti, i cadaveri sotto terra taciuti e non svelati, ma preservati da un piano che si fa tomba.
La rilettura di Fortini si inserisce in quest’ottica di ricerca dei luoghi e di rielaborazione degli eventi. Non un ritorno nostalgico alle proprie radici, ma un confronto, spesso difficile, con le proprie origini. Nelle sue pagine, egli racconta la sua storia personale, figlio di un avvocato ebreo, antifascista e quindi perseguitato, ma la contempo si mette in relazione con la Storia, analizzandola alla luce degli accadimenti contemporanei. Fortini interpreta la realtà e la quotidianità in termini di lotta fra le classi, “ultimo dei conflitti visibili, perché è il primo per importanza”.

Per Straub-Huillet, come per Fortini, disegnare il futuro significa mostrare le lacune del reale, le assenze e le mancanze. Non oggi, ma ieri e domani è il pensiero che domina e attraversa il film. Il passato per il futuro, la Storia e la memoria perché ci sia ancora speranza e azione.
Israele, terra di un’ideologia imperialista che distrugge e mistifica le tracce, e la Palestina, luogo che resiste, terra dell’uomo che resiste. Lotta di classe, che a dispetto di molti ancora esiste, e resistenza - in lotta con il presente - che esiste già e sarà fino alla vittoria.


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Manifesto "Fortini/Cani"

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Manifesto quarta rassegna

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